Angelucci e il ritorno alla vita dopo il Covid: “Ora soffro per le saracinesche abbassate”
Il presidente di Uniascom Varese chiede riaperture dei negozi in sicurezza. "Il Covid? Terribile, nel telefono conservo ancora la foto del tampone negativo"
Il Covid ha messo molte persone di fronte a scelte difficili e a sentimenti estremi. Per chi lo ha vissuto sulla propria pelle, come è successo a Giorgio Angelucci, imprenditore e presidente di Uniascom, resta quella sensazione di profonda solitudine nel prendere decisioni che possono fare la differenza tra la vita e la morte.
È vero che gli imprenditori sono abituati a decidere spesso in contesti non facili, ma quando di mezzo c’è la vita della persona con cui si è condivisa un’esistenza intera, non è la stessa cosa. Angelucci e la moglie Mirella si sono ammalati insieme all’inizio di febbraio di quest’anno e insieme hanno combattuto e vinto la malattia decidendo di restare nella loro casa anche nei giorni più critici, quando il virus ti toglie ogni forza e ti costringe immobile nel letto in uno stato quasi comatoso.
Le email del medico, le chiamate al farmacista per concordare farmaci e cure e il pensiero continuo ai tre figli sono state le routine che hanno scandito giornate interminabili. E poi, passo dopo passo, il ritorno alla vita. «Oggi viaggio con la foto dell’esito negativo del tampone sullo smartphone» dice Angelucci con quella pacatezza di chi sa di aver superato una grande prova. Qualche effetto postumo del virus c’è ancora, ma il presidente di Uniascom è tornato a pieno regime nel suo ruolo istituzionale. Un ritorno scandito dal passaggio da un dolore fisico a una sofferenza per la condizione che, come lui, stanno vivendo molti suoi colleghi imprenditori.
«Purtroppo sono ritornato in un momento in cui ci sono ancora le chiusure dei negozi – dice Angelucci – abbiamo vissuto il primo lockdown totale, il secondo e poi le varie chiusure tra zone rosse e arancioni senza vedere mai la fine». Uno stop and go continuo, snervante che mina le fondamenta di esistenze costruite sul lavoro. «Quando parliamo delle chiusure – sottolinea il presidente di Uniascom – non possiamo ignorare le profonde conseguenze che hanno sull’identità delle persone. Questa incertezza crea smarrimento perché non permette di proiettarsi nel futuro e mette in crisi professionalità importanti».
A tutto ciò, che non è poco, si aggiunge l’aspetto economico: una riapertura subito dopo Pasqua diventa così prioritaria da costringere Angelucci a lanciare un vero e proprio appello: «Abbiamo perso un altro mese pieno e con esso Pasqua quindi mi rivolgo ai nostri politici e ai direttori sanitari che ci facciano aprire almeno per il 7 aprile, per avere un mese pieno di lavoro. Lo chiedo per tutte le attività, non solo per la moda e abbigliamento».
Sono tanti i commercianti che ancora si domandano quali siano le motivazioni di una serie di provvedimenti che reiterati nel tempo hanno distinto tra le varie attività commerciali consentendo solo ad alcune di rimanere aperte. «Qual è la logica secondo cui si possono vendere mutande e reggiseni e non si possono vendere pantaloni?» si chiede Angelucci. «In questo momento vorrei citare le tante categorie penalizzate: dai pubblici esercizi agli ambulanti, dalle palestre agli alberghi, dai servizi alla persona fino alla complessa vicenda della ristorazione. Ma dovrei andare avanti per molto tempo perché è una lista piuttosto lunga».
Per quanto si continui a parlare di ristori l’unica certezza, secondo Angelucci, è la loro evidente insufficienza per compensare tutta la perdita che c’è stata in questo periodo. «Meglio sarebbe un risarcimento» dice perentorio.
Anche Confcommercio ha avanzato la proposta di vaccinare a livello provinciale i dipendenti, una richiesta che parte dalla revisione del perimetro del rischio. «Noi commercianti e i nostri collaboratori siamo in prima linea e a diretto contatto con la clientela – conclude Angelucci – e dunque saremmo una categoria da considerare a rischio, ma evidentemente le nostre autorità la pensano diversamente».
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