Del Torchio racconta il sequestro e quella coscienza che va oltre il terrore
“Guardavo il cielo” è il racconto di un’esperienza devastante ricostruita con lucidità ma anche la storia della disperata ricerca del bene, anche dove regna la violenza
Se fosse una favola, qualcuno potrebbe trovarne una morale, ossia che il sentimento di umanità esiste, seppur nascosto sotto strati di malvagità, anche all’inferno.
Ma questa non è una favola. “Guardavo il cielo”, il libro di Rolando Del Torchio, l’ex missionario angerese rapito nel 2015 nelle filippine e rimasto per sei mesi nelle mani dei terroristi islamici di Abu Sayyaf, è una testimonianza lucida di quello che è avvenuto nei giorni del sequestro e di quanto di può crudele può concepire l’animo umano.
Un libro, che pur nella drammaticità dei fatti narrati, scorre veloce come un romanzo in un susseguirsi di flashback e ricostruzioni, che vanno dal blitz al locale di Diplog agli anni della missione filippina a Sibuco, segnati dalle lotte contro la deforestazione, dalla disperata ricerca di senso che ha caratterizzato gli anni giovanili a quella fede, che non vacilla nemmeno nella “valle oscura”. Nella sua vita Del Torchio ha dovuto fare i conti con il pericolo molte volte, ma un’esperienza di questa portata era inimmaginabile.
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Del Torchio non aveva, chiaramente, il numero del Papa, ossessione dei suoi carcerieri ma qualcosa che lo rendeva speciale sì e che non dipendeva dal suo essere stato un missionario. Ha trovato l’umanità dove a nessuno sarebbe saltato in mente di cercarla, ha scelto la vita sempre, anche quando sarebbe bastato cogliere l’attimo di distrazione dei suoi rapitori e sparare un colpo d’arma da fuoco per tentare la fuga. Non ha voluto uccidere, ha scelto di non farlo neppure per salvarsi. Ha scelto il “bene”, un concetto semplice quanto immenso, nonostante il terrore del pensiero costante di una morte violenta e quello del dolore della propria famiglia.
La morale non c’è, perché questa non è una favola, ma una storia vera e la disperata ricerca di quel bene, che anche se sepolto sotto strati di malvagità esiste anche all’inferno.
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