A Bregazzana una targa per l’Elefante che da cent’anni veglia su Varese
Inaugurata al Mausoleo Magnani una targa illustrativa di una delle più singolari opere della Città Giardino: l’elefante (in bronzo) dell’Edicola in pietra grigia di Viggiù. Una storia di filantropia, d’arte … e di birrifici
In una soleggiata e piacevole domenica primaverile l’Elefante al Mausoleo Magnani di Bregazzana ritorna – simbolicamente – a barrire dalle vette della Città Giardino. Questa mattina, domenica 9 maggio, all’edicola che fiancheggia il piccolo cimitero nella frazione di Varese, aperta per l’occasione, è stata infatti inaugurata la nuova targa posta per descrivere una delle più singolari (ma forse non altrettanto conosciuta) opere artistiche della città: La Pagoda Indiana realizzata dall’artista viggiutese Enrico Butti nel 1919.
«La targa posta oggi rappresenta un gesto per restituire dignità a Bregazzana – ha commentato l’assessore varesina Francesca Strazzi, presente insieme al sindaco Davide Galimberti e alla prima cittadina di Viggiù Emanuela Quintiglio -. Un posto e un quartiere davvero meraviglioso, dove è facile sentirsi a casa, e che custodisce un pezzo di storia della nostra città e del Varesotto».
Orecchie corte e proboscide lunga, pachiderma sì, ma non “in carne ed ossa”: non fosse stato costruito in bronzo l’esotico Elefante della Pagoda Indiana potrebbe essere classificato con facilità come un “elefante indiano” anziché “varesino”, esemplare unico nella sua specie e oggi protettore innanzitutto della Cappella Magnani – di cui, sostenendo la cuspide, è proprio parte integrante del mausoleo, – ma anche del rione e della città.
«L’elefante è il simbolo di due mondi uniti in maniera sorprendente: il mondo dell’industria e di Angelo Magnani, nipote altrettanto celebre di Angelo Poretti (il fondatore dell’omonimo birrificio), e il mondo dell’arte, il mondo di Enrico Butti, scultore famoso anche per i suoi lavori al Monumentale di Milano» ha spiegato la curatrice del museo di Viggiù Renata Castelli.
Imprenditore illuminato e importante benefattore agli inizi del Novecento, Magnani, che morì nel 1924, inizialmente si rivolse a Butti non per realizzare il proprio mausoleo, bensì per adornare il parco di Villa Magnani.
«È possibile leggere online collegamenti tra l’Elefante e la religione, in particolare il Buddismo – sottolinea la curatrice del museo di Viggiù -. L’opera, tuttavia, non ha nessuna connotazione religiosa, Butti fu invece molto abile a utilizzare tutto il suo grandioso mondo iconografico, come nel caso il Milite dormiente e la contadina inginocchiata ai piedi dell’animale».
Un’abilità non solo artistica ma anche tecnica: per completare l’opera, dalle dimensioni simili a quelle di un vero elefante, Buzzi si avvalse infatti dell’aiuto dell’ingegnere varesino Ernesto Brusa sperimentando l’unione di materiali diversi come il bronzo, il vetro e la pietra grigia di Viggiù, alla tradizione ottocentesca della scultura corporea.
«Come molte persone appartenenti all’alta borghesia o alla nobiltà dell’epoca – ha continuato la coordinatrice di quartiere Daniela Penazzi -, la famiglia Magnani decise di spostare il monumento al cimitero, orientato in una posizione importante: a sinistra l’elefante ha infatti la Villa e la ditta della famiglia Magnani, mentre alla destra ha le opere filantropiche realizzate grazie all’imprenditore, come la Cooperativa e l’Asilo. Un gesto per lasciare un’eredità in eterno, proprio come il simbolo dell’elefante».
«È importante sottolineare la grande voglia di partecipazione dei cittadini per la riscoperta del proprio territorio – ha concluso il sindaco Galimberti -. Riscoprire questo monumento e questo quartiere, in un contesto imprenditoriale e artistico è fondamentale per rappresentare il ruolo di Varese e della sua provincia in un ambito molto più ampio».
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