Gianni Biondillo: “Progettare significa massaggiare il cuore del territorio”
Intervista allo scrittore ed architetto su come lo sviluppo della provincia di Varese possa essere "interpretato" e "guidato"
Se pensate che l’architettura sia roba da rivista patinata, sappiate che vi sbagliate. Non è mai stato così e men che meno oggi. La crisi ambientale e la pandemia (sì ancora lei) hanno dimostrato quanto sia importante rimettere al centro temi come il consumo del suolo pubblico o il cambiamento fisico e sociale delle nostre città.
Gianni Biondillo, architetto e scrittore milanese, è noto in Italia soprattutto per i suoi gialli ma l’architettura fa parte della sua vita e alimenta la sua produzione letteraria. Dopo aver curato “Elementi di urbanistica noir”, un insieme di storie di celebri giallisti legate ad alcune città italiane, è tornato a raccontare l’ambiente urbano con “Lessico Metropolitano”, una raccolta di saggi edita da Guanda.
E “Come vivremo insieme” , “How will we live together”, è anche il tema centrale della diciassettesima Mostra Internazionale di Architettura che aprirà al pubblico sabato 22 maggio e si concluderà domenica 21 novembre 2021 nelle sedi di Giardini, Arsenale e a Forte Marghera.
Non è semplice la “condivisione degli spazi” in questo momento: dopo mesi di isolamento e una profonda crisi economica che ha creato disuguaglianze sempre più profonde, diventa necessario ripensare i luoghi e trovare compromessi. Costruire da zero o valorizzare l’esistente? Aprire i piccoli paesi al turismo o salvaguardarli e proteggerli da una crescita che potrebbe essere fuori controllo? Costruire supermercati e centri commerciali o trovare un’alternativa che salvi anche il commercio di vicinato? Sono solo alcuni degli argomenti che molte amministrazioni si trovano a dover affrontare e le risposte sono tutt’altro che semplici.
Di questo abbiamo parlato con Gianni Biondillo che, tra le altre cose, è docente all’Accademia di Architettura di Mendrisio: «Il cambiamento è insito nelle cose – esordisce-. Pretendere di fermarlo non avrebbe alcun senso: quelle persone che provano nostalgia per i bei tempi andati forse non ricordano che cent’anni fa c’erano fame e disperazione. Diciamolo, il nostro è un Paese anziano che dei giovani se ne frega».
Non usa giri di parole Biondillo nemmeno quando dice che la provincia di Varese è il “quartiere di Milano”. Insomma non ha più senso parlare di periferie e città: è tutto molto più complesso e fluido? «Mi fa tenerezza chi punta all’immobilismo e che crede sia possibile vivere separato dal resto del mondo. Guardate voi: avete l’aeroporto di Malpensa, la ferrovia Varese-Mendrisio, una rete di strade che consente il movimento delle merci. Siete una delle aree più urbanizzate ed antropizzate del mondo. Che la nostra sia una società dinamica ce ne siamo accorti proprio durante il lockdown, quando ci siamo dovuti fermare e abbiamo dovuto fare i conti con una realtà mai affrontata prima».
Che ruolo ha la politica? Le scelte degli amministratori, non solo locali, non sempre sono accompagnate da una “visione”: «Ricordo quando il mio lavoro era fare l’architetto – racconta Biondillo -. Mi commissionarono la ristrutturazione di una piazza di un paese di provincia, non dico dove. Il sindaco bocciò il progetto perché voleva qualcosa di meno innovativo, disse “più banale” che non scontentasse nessuno. Questo è il problema: è giusto che la politica ascolti il territorio ma non deve farsi condizionare quando deve progettare. Le richieste individuali spesso sono scontate e l’uno vale uno rischia di diventare l’uno vale l’altro. Progettare significa saper massaggiare il cuore del territorio”».
Da dove dobbiamo ripartire?
«Bisogna lavorare sull’innovazione, sulla cultura sull’università. Il modello economico che ci ha guidato sinora non può più funzionare. Dobbiamo valorizzare l’esistente, riconvertire, ridisegnare. Dovrà essere un’architettura a cubatura zero, la declinazione del chilometro zero. Basta colate di cemento, basta consumo del territorio. Pensiamo ai centri commerciali: è un modello che abbiamo importato dall’America e che neppure lì funziona più. Ci si trovava nei centri commerciali perché non c’erano le piazze o i borghi dove avere relazioni umane. Ma oggi non è più così e la pandemia, ancora una volta, ce lo ha dimostrato. Sono luoghi che consentono di fare cassa ma non hanno altra funzione. La spesa di vicinato, così come la medicina di vicinato, sono la strada giusta da percorrere».
Insomma, l’architettura oggi più che mai ha un ruolo fondamentale: ridisegnare gli spazi, includere, restituire dignità a luoghi che l’hanno persa. Una sfida vera, la sfida del futuro.
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