Le parole e la Resistenza: e se quel cero fosse solo pietà?
Si torna a parlare di Resistenza e del ritrovamento di un cero con lo stemma del simbolo dell'esercito tedesco davanti al bunker di Marnate
A distanza di qualche giorno dalle celebrazioni del 25 Aprile, si torna a parlare di Resistenza e lotta partigiana. Dopo la denuncia fatta da ANPI Olgiate Olona e ANPI Gorla Minore sul ritrovamento di un cero con lo stemma dell’esercito tedesco davanti al bunker di via Lazzaretto a Marnate, ci giunge in redazione una differente opinione su quanto successo.
Un cero con il simbolo dell’esercito tedesco davanti al bunker di Marnate, la denuncia dell’Anpi
A inviarcela è Ivan Vaghi, appartenente ad ANPI Solbiate Olona, che ci scrive:
Il cero ritrovato davanti al bunker di MarnateSono un socio ANPI, sezione di Solbiate Olona, e quindi conosco bene il bunker e la sua storia. Le assicuro che non sopporto i revisionismi, le sottovalutazioni e le semplificazioni di cui è vittima sempre più spesso la Resistenza e quello che rappresenta, ma proprio per questo motivo credo che sia sbagliato fare lo stesso errore, e cioè non mettere nella giusta prospettiva tutto ciò che la riguarda.
È stata usata la parola “profanazione” per dire che qualcuno ha messo un cero con il simbolo dell’esercito tedesco sul cancello del bunker. Non sono contento che sia successo, ma si tratta veramente di una profanazione, o anche semplicemente di una provocazione? Magari no: per profanazione si intende l’oltraggio a un luogo sacro, o a un simbolo sacro. Possiamo escludere che il bunker di Marnate possa essere considerato un luogo sacro, perché era una installazione militare tedesca, annessa a una piccola caserma posta nelle vicinanze. Niente a che fare con i partigiani e la Resistenza, perlomeno fino al 25 aprile.
Non era nemmeno la cassaforte aurifera dell’esercito: se lo fosse stata avrebbero lasciato di guardia due divisioni corazzate, e non quattro soldati con una mitragliatrice. Si trattava in realtà di un luogo di transito, forse di lavorazione, dell’oro che veniva scavato in Valsesia. Ma i tedeschi si accorsero sicuramente, come tutti del resto, che la resa aurifera non valeva lo sforzo e i costi della ricerca. Non è perfino da escludere che fosse l’esercizio privato, chiamiamolo così, di qualche alto ufficiale tedesco che contava di trasferire in Svizzera l’oro che riusciva a recuperare (all’epoca da lì passava la ferrovia che arrivava a Mendrisio).
Il 25 aprile ci fu l’insurrezione e i partigiani della Valle Olona presero d’assalto il bunker e la caserma. Morì un partigiano (mi sembra si chiamasse Moltrasio) e un paio di soldati tedeschi.
In merito al cero lasciato davanti al bunker, non può essere che semplicemente qualcuno voglia ricordare i morti tedeschi di quel giorno? Senza per questo motivo insultare gli altri morti o profanarne la memoria. Se il motivo fosse stato la provocazione sarebbe stato più semplice lasciare scritte o manifesti offensivi, ma non è successo niente di tutto questo. Il cero ha il simbolo dell’esercito tedesco, non il simbolo delle SS o di qualche altro corpo militare espressamente filonazista. Sono il primo a dire che non è sempre giusto fare una distinzione, ma è comunque sempre sbagliato non farla mai. La croce uncinata è il simbolo anche dell’attuale esercito tedesco, perché non è stato associato all’ideologia nazista, come la svastica o il simbolo delle SS.
Sinceramente, se vogliamo fare un paragone, non trovo sia giusto mettere sullo stesso piano i soldati della divisione Monte Rosa, spesso ragazzi arruolati a forza nella RSI, con quelli della X Mas, un’unità militare di fascisti esaltati colpevoli di torture ed esecuzioni sommarie. Lei pensa che sia giusto cancellare la memoria degli alpini della Monte Rosa come invece dovremmo cancellare la memoria dei marinai della X Mas? Secondo me no, e forse è la stessa cosa che aveva in mente quella mano che ha messo il cero sul cancello del bunker di Marnate. Quei soldati tedeschi di guardia al bunker non risulta abbiano mai partecipato a rastrellamenti di partigiani e tantomeno a torture o esecuzioni, in che senso ricordarne la morte significa profanare quella di qualcun altro?
Non sono nemmeno d’accordo sul fatto che si sia voluto profanare il 25 aprile, inteso come il simbolo della Liberazione. Semplicemente quelle morti sono avvenute quel giorno, e quel giorno vengono ricordate. Si è mai chiesta se per caso la persona che ha lasciato il cero sia di queste parti? Magari no, magari è un parente di uno di quei soldati, venuto dalla Germania per ricordare il luogo in cui è morto il suo congiunto nel giorno e nel luogo in cui è avvenuta la morte. Se le cose stanno così, onestamente, si potrebbe parlare ancora di profanazione?
Sinceramente mi piace pensare che dietro quel cero ci sia una storia, magari piccola, magari maldestra, magari che non ci piace, ma che vale la pena di essere raccontata. Se avessimo tutti quanti il desiderio di capire e non solo quello di giudicare potremmo aprire nuove finestre su un mondo, e sulle tante cose che ancora sono da scoprire di quel periodo e di quelle persone che sono state protagoniste, dalla parte giusta o da quella sbagliata, di un tempo esaltante della nostra storia.
La ringrazio per l’attenzione.
Ivan Vaghi
Tanti input, sicuramente interessanti, inviatici da Vaghi, su una questione che abbraccia le lotte che attraversarono il nostro territorio, ma non solo.
La riflessione sulla pietà per i nemici è sicuramente un tema che può dividere, ma che denota un grande rispetto per la storia, nell’idea di distinguere tra i nazisti e fascisti convinti e quelli (soprattutto tedeschi) che erano in Italia solo perché costretti dalla leva. Già Nuto Revelli aveva inaugurato negli anni Ottanta-Novanta una riflessione con la ricerca e poi il libro “Il disperso di Marburg”, volume che – senza fare sconti – restituisce dimensione umana al tedesco, invasore sì ma anche uomo.
La lettera Vaghi rivolge l’attenzione anche al campo della Rsi, proponendo la distinzione tra i reparti di leva e le formazioni (come le Brigate Nere) che erano ideologicamente fascisti e alimentati da volontari: una distinzione scivolosa ma che aiuta a comprendere la complessità del periodo. Va ricordato che nei reparti di leva i fascisti disertori furono migliaia, a partire dagli alpini della divisione Monte Rosa: lo stesso movimento partigiano lavorò specificamente per favorire le diserzioni, ad esempio con specifici giornali clandestini destinati ai soldati di leva repubblichini.
Pagine di storia che tutti dovremmo conoscere in modo più approfondito per comprendere appieno cosa avvenne allora.
Roberto Morandi /Santina Buscemi
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