“Non vogliamo vendetta, ma la verità”. A Malpensa l’addio alla famiglia morta al Mottarone
La cerimonia di commiato prima del trasferimento in Israele di papà, mamma, fratellino, bisnonno materno e compagna del piccolo Eitan, unico sopravvissuto
Cinque bare. Una bianca. Le bandiere italiana e israeliana.
Commozione e silenzio all’area Cargo di Malpensa per l’arrivo dei primi feretri delle vittime del Mottarone, giunte dopo il nulla osta delle autorità e pronti per la partenza verso Israele.
Nella tragedia della funivia è stata distrutta un’intera famiglia: sono morti Amit Biran, 30 anni, Tal Peleg, 27 anni, il piccolo Tom, 2 anni, e i due anziani Itshak Cohen, 82 anni, e la compagna dell’uomo Barbara Koniski Cohen, 71 anni.
Sono papà, mamma, fratellino, e bisnonni del piccolo Eitan che rimane ancora ricoverato, ma in miglioramento, all’ospedale regina Margherita di Torino.
La cerimonia di preghiera e commiato si è tenuta prevalentemente in ebraico, solo alcuni passaggi sono stati pronunciati in italiano, che hanno restituito il legame con l’Italia è Milano.
«Neanche nei peggiori incubi avrei potuto immaginare questo» ha detto, in un messaggio inviato, il responsabile sicurezza della comunità ebraica. Ha ricordato Amit arrivato giovane medico, già padre, la gioia di poter collaborare alla sicurezza della comunità. «La tua serietà sul lavoro e sensibilità hanno conquistato tutti».
Un addio «inaccettabile e incomprensibile», che ha coinvolto nel dolore tutta l’anima comunità. L’ambasciatore d’Israele ha voluto anche ringraziare le autorità aeroportuali e doganali che hanno consentito di organizzare in breve tempo il volo di reimpatrio delle salme, le autorità regionali del Piemonte, «il nostro amico Alberto Cirio e l’ospedale Regina Margherita per la sensibilità e l’aiuto».
La comunità ebraica di Milano era rappresentata anche dal segretario Alfonso Sassun e dal presidente Milo Hasbani. «La Procura ha fatto un bellissimo lavoro. Non vogliamo vendetta, vogliamo solo la verità» ha detto ai giornalisti al termine dell’incontro.
Hasbani ha parlato dell’inchiesta come un atto di verità che coinvolge tutta l’Italia, alle prese negli ultimi anni con tante tragedie – pur diverse – legate alla sicurezza dei trasporti. «Stiamo facendo un bel lavoro» ha detto riferendosi all’indagine. «Dico stiamo perché è giusto si appoggi il lavoro di tutta la magistratura». Per evitare di dover piangere altri morti.
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Gente così non merità nemmeno il carcere…..questo paese è cortocircuitato su se stesso e la sua classe dirigente è avariata….hanno appena intercettato degli imprenditori che ridevano dicendo che versavano fanghi tossici in Lombardia Piemonte, e ridevano all’idea che bambini mangiassero il mais avvelenato.