Dove nasce la modernità: la mostra al Maga di Gallarate racconta gli impressionisti
Quadri, sculture, acqueforti, ceramiche conducono in un percorso nel mezzo secolo che portò l'arte dalla dimensione del mito alla modernità
I colori dei paesaggi en plein air e le atmosfere oscure dei bassifondi. Il clima vibrante dei cabaret e l’aria acre sulle barricate. Il Tamigi, ma anche i campelli di Venezia. I quadri, ma a fianco anche il segno deciso delle incisioni.
La mostra al museo Maga di Gallarate, presentata oggi per la prima volta, racconta bene la rivoluzione del movimento impressionista, più multiforme di come spesso viene divulgato al grande pubblico. Il movimento che sancisce “la definitiva uscita dell’arte dal regno del mito e la sua compromissione con la vita moderna”.
Un grande percorso presentato alla stampa oggi, con una sorta di pre-inagurazione, cui seguirà quella di venerdì e poi l’apertura al pubblico sabato. Una mostra molto attesa, che a dieci anni da quella su Modigliani riporta il Maga a frequentare l’origine dell’arte moderna, come fondamento di quella dimensione contemporanea che il museo indaga.
«In tanti mi stanno chiedendo: perché guardate così indietro?» ha detto la direttrice Emma Zanella, curatrice della mostra insieme ad Alessandro Castiglioni. «L’attenzione alla contemporaneità e l’attenzione alla storia dell’arte sono sempre state parte di una doppia anima che abbiamo sempre avuto, fin dalla prima mostra su Modigliani». E a conferma di questo il museo propone in contemporanea anche la mostra Historia di Francesco Bertocco, rinviata a causa della pandemia e che merita di essere scoperta in occasione della visita al museo (a Bertocco l’onore della battuta più fulminante e irriverente del giorno: «Sono l’unico artista vivente in mostra»).
Hanno portato i loro saluti istituzionali anche il sindaco di Gallarate Andrea Cassani e gli assessori ai musei Claudia Mazzetti e alla cultura Massimo Palazzi. Nel suo saluto ufficiale il sindaco ha suggerito un legame tra “un movimento in contrasto con lo stile accademico” e lo spazio del museo che vive “al di fuori dei rigidi schemi accademici” e che sta vivendo una fase di rinnovamento con il progetto del polo culturale Hic.
L’assessore Mazzetti, emozionata dopo tanti mesi di preparazione, ha salutato la mostra quasi come un ritorno alla vita, insistendo sulla riappropriazione della dimensione sociale e della vita nella natura, dentro il tempo di pandemia. «Anche noi stiamo oggi riscoprendo un po’ l’en plain air, un termine che ci hanno trasmesso gli impressionisti».
Sia nel suo saluto ufficiale sia nell’intervento in sala, l’assessore alla cultura Palazzi ha voluto proporre l’immagine di «una mostra a cui accostarsi con lo spirito del viaggiatore», carico sì del proprio bagaglio, ma pronto a riscoprire, ridisegnare le proprie convinzioni.
Ad esempio sul linguaggio: perché l’impressionismo sono sì le tele con i paesaggi all’aperto e i viali, ma è anche l’uso delle incisioni e dell’acquaforte, cui è dedicata una ricca sezione molto interessante. O ancora le ceramiche di Félix Braquemond.
In mostra ci sono sì i grandi maestri, quelli che si citano sempre per far da richiamo, i Cézanne, i Manet, i Renoir e così via, ci sono le atmosfere della Parigi che si affaccia sulle luci Belle Epoque. Ma c’è anche la Parigi dei forzati della fame, dei barcaioli del Meudon, delle chiatte a vapore sulla Senna, delle barricate della Comune soffocata nel sangue dai reazionari trionfanti, degli indesiderabili e dei carcerati.
Nel giorno della presentazione, merita una sottolineatura anche il ruolo degli sponsor, che comprendono Regione Lombardia, Fondazione Cariplo, Fondazione Comunitaria del Varesotto, Sea, Ricola (che offre anche una serie di visite gratuite, primo e terzo venerdì del mese, 14-18) e Lamberti.
Tutto quel che c’è da sapere sulla mostra degli Impressionisti al museo Maga di Gallarate
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