Dieci anni fa i referendum sull’acqua e il nucleare
Si votò il 12 e 13 giugno 2011, su quattro quesiti. Andarono a votare 27 milioni di italiani: l'ultima grande partecipazione popolare, prima della stagione dei tecnici e delle larghe intese
Compie dieci anni la conferma del No al nucleare in Italia, ma anche l’indirizzo di tutela dell’acqua pubblica.
Un doppio pronunciamento arrivato grazie ai referendum del 12 e 13 giugno 2011, che vide votare circa 27 milioni di italiani, quasi tutti per il Sì, visto che chi votava No predicava di solito l’astensione per far fallire la consultazione.
I referendum erano in realtà quattro: uno riguardava la giustizia – sul legittimo impedimento – mentre altri tre riguardavano temi legati all’ambiente e ai diritti sociali, vale a dire acqua, uso del nucleare, servizi pubblici (foto di apertura: uno stand del Sì a Gallarate).
Le quattro schede dei referendum 2011
La scheda rossa identificava il quesito sulle “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, prevedeva di abrogare la norma che imponeva di affidare a soggetti privati o misti pubblico-privato i servizi locali consentendo una gestione diretta “in house” solo in casi eccezionali. Riguardava anche i servizi idrici e per questo si parlava spesso di “due quesiti sull’acqua”.
La scheda gialla identificava il quesito che più propriamente si può definire “sull’acqua pubblica”, quello che ebbe simbolicamente più rilevanza nel dibattito. La norma (2006) che veniva toccata dal referendum riguardava la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua, con la proposta di modificarla “nella parte in cui prevede che tale importo includa anche la remunerazione del capitale investito dal gestore”: al di là della specifica norma, valeva più in generale come uno stop all’idea che l’acqua potesse diventare merce.
La scheda grigia toccava il tema del nucleare, rivedendo la norma (votata quell’anno) che avrebbe consentito – almeno in linea teorica – di riprendere la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare. Di fatto riportava alla situazione emersa dai referendum del 1987 che fermava la produzione in Italia e stabiliva anche il divieto per Enel di lavorare a impianti all’estero.
Il quarto referendum proponeva l’abrogazione della “disciplina differenziata del legittimo impedimento a comparire in udienza, applicabile ai soli titolari di cariche governative”, la norma votata dal governo Berlusconi che di fatto riguardava proprio il presidente del Consiglio in carica.
Una fase di trasformazione
I referendum arrivarono in un contesto di particolare evoluzione politica: due settimane prima del referendum il centrosinistra aveva ottenuto una ampia vittoria alle elezioni amministrative, ottenendo la guida di grandi città e anche di molti centri di provincia (contando i capoluoghi di provincia vinse in 21 città su 30).
In molte località il centrosinistra vinse con candidati che avevano percorsi anomali, legati alla sinistra “radicale” o a percorsi movimentisti, estranei all’ “apparato” del principale partito, il Pd. A questa categoria appartenevano ad esempio Giuliano Pisapia a Milano, Massimo Zedda a Cagliari, Luigi De Magistris a Napoli. Il simbolo divenne il colore arancione, che allora era un colore inedito che marcava una differenza.
Al di là del quesito sul legittimo impedimento (evidentemente incentrato sulle vicende di Silvio Berlusconi), gli stessi quesiti referendari toccavano battaglie – l’ambente e i beni comuni – molto sentite mondo della sinistra radicale e dei movimenti. La vittoria del 29-30 maggio aveva galvanizzato quest’area e spinse notevolmente la campagna referendaria.
Al contempo tutte le norme che si proponeva di abrogare erano state approvate da governi Berlusconi (II e III) e in questo senso tutto il campo del centrosinistra lo viveva anche come un modo per dare una spallata al berlusconismo, che poi avrebbe ceduto cinque mesi (lasciando però il posto a un governo tecnico).
Uno striscione che cita anche il tema della giustizia, di solito meno presente rispetto all’acqua e al nucleare, che erano temi più traversaliDal punto di vista politico, la sinistra e il centrosinistra erano schierati per il Sì ai quattro quesiti.
L’allora Popolo delle Libertà – il partito berlusconiano che aveva riunito Forza Italia e Alleanza Nazionale – fu l’unico a schierarsi compattamente per il No, che poi all’atto pratico significava astensione per far fallire il quorum.
L’allora Lega Nord invece lasciò libertà di voto, come annunciò il capogruppo Marco Reguzzoni alcuni giorni prima del voto. Alcuni leghisti si astennero, Bossi compreso, altri – come Roberto Maroni – votarono sì ad una parte dei quesiti, come quelli sull’acqua. Zaia votò quattro sì.
I confini tra destra e sinistra non erano netti, se non forse sul quesito del legittimo impedimento: anche molte sigle e movimenti della destra radicale ad esempio erano per il Sì, in particolare sul tema dell’acqua.
Un’azione pro-Sì di Casa Pound a VareseI risultati dei referendum del 2011
La partecipazione al voto fu molto elevata: votarono oltre 27 milioni di italiani, con il dato più alto (27.642.457) sul secondo quesito, quello “sulla privatizzazione dell’acqua”. L’affluenza media fu del 54,8%, molto elevata se si considera che chi sosteneva il No di solito si asteneva.
È un dato molto elevato anche se si considera che ormai viene raggiunto a fatica alle elezioni per il proprio Comune. Per confronto: solo cinque anni dopo, alle comunali di Varese del 2016 ha votato il 55,89% al primo turno e poco più del 50% al secondo, a Gallarate al ballottaggio si era già scesi addirittura al 47.92%; l’anno dopo a Legnano già al primo turno votò il :52,36%.
Il dato del 54,8% scontava una bassissima partecipazione all’estero (23% circa degli aventi diritto), mentre in Italia votò il 57% degli elettori.
Il quorum fu superato in tutte le Regioni, tendenzialmente con percentuali più alte nelle Regioni tradizionalmente orientate al centrosinistra e più bassa in quelle di centrodestra. Il dato più alto fu nella Provincia autonoma i Bolzano (66,7%), il più basso in Calabria (50,35). In Lombardia la partecipazione al voto fu appena appena sotto la media, 54,8%.
Tra chi andava a votare, la stragrande maggioranza andava per votare Sì:
I referendum sono stati rispettati?
L’eredità dei referendum del 2011 è discussa.
Meno di sei mesi dopo si chiuse il ciclo del berlusconismo e si aprì – con il governo Monti – la fase dei governi tecnici e di larghe intese che aprì ad una nuova fase di misure liberiste, che andavano in senso radicalmente divergente rispetto all’indirizzo politico dei referendum.
Questo è particolarmente evidente nel caso del tema dell’acqua, rimasto forse il più dibattuto anche negli anni successivi: il quesito toccava un aspetto specifico (la remunerazione del capitale investito, quindi la possibilità di fare utili) ma nel 2011 è stato interpretato estensivamente come conferma del valore dell’acqua pubblica.
In questo senso i comitati hanno poi contestato anche le evoluzioni normative successive e anche l’idea che l’acqua venisse affidata a soggetti di natura giuridica privata anche se a partecipazione pubblica. Ancora oggi quella visione viene rivendicata con forza ad esempio dal padre comboniano Alex Zanotelli.
Oggi il Comitato Acqua Bene Comune denuncia che “la cosiddetta ‘riforma’ del settore idrico contenuta nel Recovery Plan, così come aggiornato dal governo Draghi, punta ad un sostanziale obbligo alla privatizzazione, in particolare nel Mezzogiorno”.
Resta in parallelo il tema degli investimenti necessari a ridurre le dispersioni e garantire distribuzione e depurazione. Negli ultimi dieci anni sono aumentati gli investimenti, ma l’aumento del costo dell’acqua è diventato visibile in molte realtà.
Si è riaffacciato anche il dibattito sul nucleare, su cui però non ci sono state modifiche sostanziali, anche se i promotori di allora chiedono di completare la transizione (c’è ancora aperto il tema dello smaltimento delle scorie).
Quanto al legittimo impedimento, la fase della contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo sembra ormai roba del passato.
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