Le bcc sono banche differenti

I vertici di Federcasse partecipando ai lavori della VI Commissione finanze della Camera hanno evidenziato una contraddizione del sistema di vigilanza europeo: si pretende di applicare regole pensate per le banche commerciali anche al credito cooperativo che ha finalità sociali ed economiche profondamente diverse

Bcc

Non capita spesso, e per fortuna, che quattro banche dello stesso paese falliscano contemporaneamente. In Italia, non più di sei anni fa, abbiamo assistito al default delle Casse di risparmio di Chieti e Ferrara, della Banca delle Marche e di Banca Etruria, quest’ultima considerata dalla stampa nazionale “il paziente zero” della crisi finanziaria italiana. In realtà l’elenco poteva essere ben più lungo perché altri istituti di credito, come il Monte dei Paschi di Siena – la banca più antica del mondo – sono stati salvati dal fallimento tecnico.

IL CREDITO COOPERATIVO E LE DUE CAPOGRUPPO

In quel periodo il dibattito sul sistema bancario italiano tendeva però a fare di tutta l’erba un fascio. Venivano citati fattori che non c’entravano nulla con il disastro finanziario che aveva scosso il Paese e tra gli argomenti più gettonati c’erano la piccola dimensione delle banche italiane e le loro governance autoreferenziali, dimenticando la lezione del caso Lehman Brothers. Quindi anziché mettere al centro della critica la cattiva gestione caso per caso e il lassismo dei sistemi di controllo, autorevoli analisti si lanciavano in paralleli inopportuni con il sistema del credito cooperativo, invocando la necessità di una riforma generale che garantisse più efficienza ed economie di scala adeguate.

In pochi però sottolineavano il fatto che il sistema delle bcc metteva puntualmente la propria quota in euro sonanti per porre rimedio ai disastri delle cosiddette “banche normali” e provvedeva direttamente con il proprio fondo di garanzia a sistemare le situazioni traballanti che aveva in casa. Questa confusione era ulteriormente alimentata dalla riforma delle popolari, voluta dal governo Renzi, che in un primo tempo comprendeva anche il variegato universo delle bcc, come se la loro storia fosse un tutt’uno. Alla fine le bcc hanno proceduto ad un’autoriforma dando vita a due capogruppo di famiglia, Iccrea Banca e Cassa Centrale Banca, che hanno proiettato il credito cooperativo ai vertici del sistema bancario italiano. Detto questo, rimane la sostanziale diversità delle bcc rispetto alle altre banche, ex popolari comprese.

FEDERCASSE E LA COMMISSIONE FINANZE DELLA CAMERA

Il presidente e il direttore di Federcasse (Federazione italiana delle banche di credito cooperativo – casse rurali ed artigiane), Augusto Dell’Erba e Sergio Gatti, hanno partecipato ai lavori della VI Commissione finanze della Camera dei deputati, in merito alle consultazioni sulla “Risoluzione Buratti”, iniziative a sostegno delle banche di credito cooperativo. I vertici della federazione hanno ricordato la positiva conclusione del controllo che la Banca Centrale Europea (meccanismo di vigilanza unico) ha fatto sullo stato di salute delle due capogruppo che hanno confermato la loro solidità patrimoniale. Nella memoria presentata in audizione hanno al contempo sottolineato l’inadeguatezza del quadro normativo di supervisione attuale rispetto alle bcc affiliate ai gruppi bancari cooperativi, con oneri che ne appesantiscono la struttura dei costi a cui si aggiunge una difficoltà di gestione resa tale «da una vigilanza di fatto sproporzionata rispetto alle finalità mutualistiche delle bcc».
Federcasse ha evidenziato un’evidente contraddizione del sistema di vigilanza europeo: si pretende di applicare regole pensate per le banche commerciali e di investimento, che sono quelle che generano esternalità, cioè conseguenze  negative, anche al credito cooperativo che ha finalità sociali ed economiche profondamente diverse.

MUTUALISMO E CAPITALISMO

L’economista Stefano Zamagni fin dalle prime pagine del  libro “Banche di comunità. Cambiare senza tradire” (Ecra) spiega molto bene la situazione in cui si trovano le bcc che da una parte sopportano e sostengono i costi della democrazia e dall’altra «non si vedono riconosciuto il merito di produrre valore aggiunto sociale, ma addirittura vengono caricate di pesi immotivati e irragionevoli». Naturalmente Zamagni si riferisce alle regole di Basilea «che contemplano modelli di rischio, per misurare la probabilità di insolvenza delle imprese che chiedono credito, basati su indicatori che, mentre si addicono a imprese capitalistiche, non lo sono affatto per imprese cooperative. Si pensi all’ammontare dei profitti distribuiti, oppure al Roe (Return on equity): si tratta di parametri che per un’impresa cooperativa hanno scarso significato, dal momento che, per statuto, essa pone un limite superiore alla distribuzione degli utili».
In queste regole c’è dunque una discriminazione di fondo che potrebbe essere riassunta in una celebre frase di don Lorenzo Milani: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”.

 

“Non vendere subordinati per noi è una scelta etica”

Abbiamo una banca

 

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 16 Luglio 2021
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