“L’azienda del nonno non chiude per colpa dei nipoti”
È un mito da sfatare che la terza generazione distrugga quanto costruito da quelle precedenti: per il professor Salvatore Sciascia dell'università Liuc di Castellanza le imprese familiari andrebbero analizzate con più studio e meno luoghi comuni
«I dati ci dicono che le imprese familiari sono più longeve, più capaci di innovare in modo efficiente e spesso sono le migliori anche dal punto di vista economico finanziario». Così Salvatore Sciascia, professore ordinario di economia aziendale dell’università Liuc di Castellanza, ha esordito nel suo intervento all’assemblea dell’ordine degli ingegneri della provincia di Varese.
Sollecitato dalle domande del presidente dell’ordine, Pietro Vassalli, l’economista ha fatto un quadro più che realistico, precisando che nel dato aggregato si perdono le code del fenomeno. Esistono dunque anche imprese familiari «obsolete e che non vanno bene», ma di contro ce ne sono tante molto competitive, che sanno stare sul mercato.
L’impresa familiare è quella la cui proprietà è nelle mani di una famiglia, cioè di persone che sono legate tra loro da rapporti di parentela. «Rappresentano circa l’85 per cento delle imprese italiane – ha precisato il professore – realtà che creano ricchezza e danno lavoro ma che paradossalmente non sono state molto studiate».
Il professor Salvatore Sciascia firma il manifesto di TrainingUN MODELLO FINO AD ORA POCO STUDIATO
Nelle facoltà di economia, fino ad ora, non si è studiato il modello di impresa familiare perché si aveva in mente un modello di impresa non familiare, come se fosse quello a cui tendere. «È stato un grande errore – ha spiegato Sciascia – perché c’è molto di buono nel mondo delle imprese familiari che può essere esportato per altre imprese. I dati ci dicono che crescono di più di quelle non familiari e anche nei periodi di crisi hanno resistito di più».
Sul fronte dell’innovazione queste imprese hanno un dinamismo notevole, nonostante abbiano processi meno strutturati e più informali rispetto alle altre imprese. Caratteristica che permette a queste imprese di sopravvivere anche nei momenti più difficili. In provincia di Varese, ad esempio, ci sono imprese nate nel 1800, sopravvissute a due guerre mondiali, a tre crisi economiche e ad almeno due pandemie.
«Non è un caso che tutte le grandi aziende italiane più longeve – ha aggiunto l’economista – appartengano a famiglie imprenditoriali».
PASSAGGIO GENERAZIONALE E LUOGHI COMUNI
Uno dei momenti cruciali per le imprese familiari è il passaggio generazionale, ma su questo argomento sono fioriti molti luoghi comuni. Il più famoso e spesso citato a sproposito è che la prima generazione costruisce, la seconda mantiene e la terza distrugge. In realtà sono tante le imprese familiari, anche del territorio varesino, che hanno superato “abbondantemente” questa fatidica soglia. Non è detto dunque che la seconda generazione sia peggiore della prima, e la terza peggiore della seconda. «È un mito da sfatare – sottolinea l’economista – Quando si parla di passaggio generazionale il numero chiave è il 30. I dati rivelano che alla seconda generazione arriva solo il 30 per cento delle imprese e poi alla terza ci arriva solo il 30% di quel 30%. In buona sostanza alla quarta generazione arrivano 3 imprese su 100, pochissime».
Nella narrazione di questo processo c’è stata quindi una demonizzazione del passaggio generazionale, ma la realtà è ben diversa. «Non si racconta mai che le 70 imprese che non ce la fanno, chiudono ben prima di quel passaggio» ha concluso laconico Sciascia.
Nell’impresa familiare apertura, cuore e competenza fanno la differenza
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