Confusione del consumatore: una ricerca LIUC svela cosa succede davanti agli scaffali del supermercato
L'indagine compita da Chiara Mauri, Martina Gurioli e Fausto Pacicco, si è aggiudicato il premio Best Paper in occasione della SIM Conference 2021
Davanti agli scaffali del supermercato può capitare di essere incerti, o meglio dire confusi, quando ci si imbatte in prodotti molto simili. Che cosa scatta di preciso nella nostra mente quando vediamo affiancati un brand e un altro che lo imita?
Se lo sono chiesti Chiara Mauri, Martina Gurioli e Fausto Pacicco, rispettivamente Direttore, PhD Student e docente della Scuola di Economia della LIUC – Università Cattaneo, in una ricerca dal titolo “Consumer confusion in front of national brands and their copycats”. Lo studio si è aggiudicato il premio Best Paper in occasione della SIM Conference 2021, l’evento annuale organizzato dalla Società Italiana di Marketing svoltosi quest’anno ad Ancona presso l’Università Politecnica delle Marche. Alla ricerca LIUC è andato sia il primo Premio Assoluto, sia quello per la sezione tematica Consumer behaviour. 131 i paper presentati, suddivisi in 12 categorie (International Marketing, Consumer Behaviour, Marketing Communication & Branding, Marketing & Supply Chain Management, Retailing & Channel Management, Tourism, Culture & Arts Marketing, Technology & Innovation Marketing, Digital Marketing, Sustainable Marketing, Services Marketing, Marketing per le Start Up) e giudicati da una commissione di docenti di marketing dei principali atenei italiani.
“Abbiamo indagato – spiega Martina Gurioli – la confusione da similarità generata dai copycats, prodotti che imitano nel packaging (a livello di colori, forme e font) i prodotti leader di mercato. Le strategie di copycatting sono sempre più utilizzate, soprattutto nel grocery alimentare, e fanno sì che prodotti tra loro molto simili siano accostati gli uni agli altri sullo scaffale. La confusione che si genera può essere duplice, ossia può innescare fraintendimenti sulla qualità e sull’origine dei prodotti, e determinare acquisti sbagliati che hanno un impatto sulla soddisfazione e fiducia dei consumatori verso il marchio, oltre che sulle performance aziendali”. La ricerca si è basata su una survey online. Sono state raccolte le risposte di 235 consumatori residenti in Italia di età compresa fra 18 e i 75 anni. Ai rispondenti venivano presentati alcuni video dove, a 4 diverse velocità, veniva mostrato un prodotto (lo strumento per mostrare i video si chiama tachistoscopio). L’obiettivo era quello di ricreare la situazione ricorrente della breve sosta davanti allo scaffale in cui il consumatore dedica una frazione di secondo per analizzare il singolo prodotto. Al termine della visione di ogni video venivano poste domande circa la categoria merceologica e il brand dei prodotti mostrati.
“La novità del nostro studio – continua Gurioli – non solo risiede nella valutazione del tasso di confusione del consumatore quando viene mostrato un brand leader (es. Algida, Aperol, Findus, Bonduelle) o un copycat, ma anche nell’analisi di come cambia la percezione quando si ha davanti uno store brand (in cui il nome coincide con l’insegna, come Esselunga) e un industrial brand (marchio secondario, come Gaia per le salse)”. È proprio considerando parallelamente i brand leader, i marchi commerciali e quelli industriali che emergono le principali evidenze della ricerca: “A prescindere dal brand, la confusione si riduce quando gli stimoli visivi sono più prolungati. Inoltre, il tasso di confusione si riduce più velocemente davanti ai marchi leader nella categoria merceologica. Tra store brand e industrial brand, sono questi ultimi a creare la maggiore incertezza. Una possibile spiegazione di questo fenomeno è da attribuire alla capacità dei marchi leader e, in misura minore, degli store brand (essendo legati alle insegne della GDO) di sviluppare elementi distintivi del packaging e del marchio che si fissano nella memoria dei consumatori e consentono loro una più rapida e facile identificazione del marchio. Possiamo dunque considerare i brand come degli amplificatori della confusione”.
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