Fuoco e clima hanno cambiato i connotati del Campo dei Fiori
Lo stato dell’arte della montagna sopra Varese a quattro anni dal grande incendio. Il presidente del Parco Campo dei Fiori Giuseppe Barra illustra gli interventi: “Ricostruire l’habitat in quota e azioni sui versanti a valle“

È il meraviglioso sfondo naturale delle giornate per migliaia e migliaia di varesini che anche se vivono distanti dal capoluogo lo vedono da lontano, quasi senza farci caso e solo avvicinandosi al Campo dei Fiori ci si accorge che il segno delle stagioni è sempre quello dei colori che cambiano, con l’autunno, per lasciare via via le chiome spoglie e vederle rifiorire a primavera.
Un’alchimia della natura dimenticata quattro anni fa esattamente in questi giorni, dopo l’avvistamento di quella stana colonna di fumo bianco in un pomeriggio, nel mezzo del bosco: «Chissà che sarà».
Poi l’inferno, durato settimane.
Risultato: centinaia di ettari di superficie boscata andati in fumo e se non bruciati completamente, attraversati dal calore che ha lasciato i suoi segni oggi non visibili direttamente, se non ogni volta che piove, con le colate detritiche in agguato e che di volta in volta flagellano i paesi del versante Sud. Era il 2017.
Cosa è cambiato sulla montagna sopra Varese? Qual è il punto della situazione?
Risponde Giuseppe Barra, presidente del Parco Campo dei Fiori che fa un bilancio a 360 gradi sullo stato dell’arte. Tanto è stato fatto, tanto ancora è da fare. «Abbiamo concentrato molto l’attenzione sull’aspetto idrogeologico e quindi sulle ricadute e sugli effetti che l’incendio ha avuto sui corsi d’acqua proprio alla luce di quel fenomeno di impermeabilizzazione che ha prodotto le colate di fango e sassi. È stato fatto molto sia sul versante di Barasso, sia su quello di Luvinate, con interventi significativi».
Le parole di Barra richiamano agli estremi del clima che si leggono proprio nelle notizie dei tg di queste ore con una Catania sommersa dall’acqua dopo aver visto il fuoco solo qualche mese fa, nell’estate appena passata. Così in diverse altre zona d’Italia come in California. Così anche da noi: dopo il fuoco è stata l’acqua ad aver messo in ginocchio più di una volta i comuni che da Gavirate a Varese hanno pagato un prezzo elevato. In quest’ottica si sta lavorando su due fronti.
«Il primo riguarda la parte alta della montagna dove c’è progetto già in essere, finanziato dal Ministero per la zona bruciata di fianco all’Osservatorio dove si parla di riqualificazione ambientale per non perdere e anzi proteggere la biodiversità», spiega Barra, riferendosi a specifiche ricchezze che da queste parti si cimano “prati magri“ e che sono protetti all’interno di un sito di importanza comunitaria. «Si tratta di un intervento importante per la ricostruzione di habitat per migliorare la capacità di adattarsi e quindi resistere agli eventi scatenati dai cambiamenti climitaci e per evitare eventi futuri che possano influire negativamente».
Il progetto è sperimentale, prevede la spesa di 300 mila euro e si innesta in quella serie di azioni fatte fra Parco e Università mosse da quell’annata tremenda che colpì e devastò con incendi l’intera penisola: Val di Susa, Argentario. E molti altri luoghi ancora. Venne a livello governativo attivato un bando specifico per interventi di recupero in aree protette a cui partecipò anche il Parco piazzandosi primo nella graduatoria. Ma non è tutto. Se in cima alla montagna si lavorerà quasi di bisturi e sull’habitat, più in basso, appena sotto al limite del sentiero 310 (chiamato anche il “10“ ma dalla parte del versante Sud) si interverrà ancora sulle aste dei corsi d’acqua.
«A breve dovrebbe partire l’ulteriore recupero dell’area a sud del “sentiero 10“ quindi sopra la zona colpita dal dissesto idrogeologico (in corso anche sulle aste fluviali fra0 Luvinate, Barasso e Comerio e sul monte San Francesco a Varese). Sul punto però c’è da fare anche una considerazione importante. La strategia non è solo quella di operare sul bruciato. Dopo l’incendio ci siamo dovuti confrontare con gli effetti evidenti del cambiamento climatico legati ai fenomeni delle bombe d’acqua e alla tempesta “Alex “ che colpì con venti contrari alcune zone della Valcuvia e come sappiamo anche del Campo dei Fiori. A fronte di queste valutazioni, operare piantumazioni eguali a quelle pre esistenti significherebbe esporre i versanti agli stessi agenti che ne hanno causato il deterioramento: il cambiamento climatico in atto modifica le condizioni in cui questi habitat si sono evoluti, e di fatto sta cambiando i connotati alla nostra montagna».
L’ultima valutazione riguarda la prevenzione. Su questo punto il bilancio è positivo e fa guardare il futuro con fiducia. «È stato fatto un grande lavoro sia per affinare l’intervento nella zona alta, dove non c’è acqua (e per la quale è stato presentato un progetto per vasca di approvvigionamento dove tuttavia manca una quota di finanziamento), mentre più in basso si è scelta la strada di creare una rete di approvvigionamento idrico a valle del sentiero 10 e quindi in una zona relativamente vicina alle abitazioni, sfruttando antiche cisterne in disuso ora diventate preziose per combattere gli incendi da terra. Il vero valore aggiunto di questo aspetto, però, sta nelle squadre di volontari e nel lavoro di cui i nostri uomini sono capaci nel momento del bisogno, frutto di preparazione e impegno».
INCENDIO CAMPO DEI FIORI
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