Alle imprese culturali di Milano il primo lockdown è costato 34 milioni di euro
Il dato è stato reso noto da una ricerca di Intesa Sanpaolo, realizzata in collaborazione con il Comune. Buona la capacità di reazione: l'80 % dei soggetti ha ampliato l'offerta online

L’impatto del primo lockdown, provvedimento preso dal governo per contrastare la pandemia da coronavirus, è stato significativo per la gran parte delle imprese del settore culturale. Quelle che operano a Milano, nel periodo che va dal 31 gennaio al 31 luglio 2020, tra spese di mantenimento sostenute a fronte di incassi nulli per chiusura e l’entità dei danni dichiarati, hanno avuto una perdita complessiva di 33,8 milioni di euro.
La stima è contenuta in una ricerca, realizzata dalla direzione studi e ricerche e il desk media e cultura di Intesa Sanpaolo, in collaborazione con il Comune di Milano, effettuata su un gruppo campione di 367 soggetti, molto diversi per settori di attività e specializzazione.
UNA RICCA OFFERTA CULTURALE
Dalla ricerca emerge che Milano ha un’offerta culturale molto ricca e varia, che include sia produttori di eventi (il 35% del campione) che soggetti che si dedicano alla promozione e valorizzazione delle attività culturali (35% dei soggetti), come le scuole di formazione che gestiscono corsi e soggetti che organizzano visite ed eventi. Ci sono poi operatori (il 30% del campione) che offrono una varietà di servizi diversi, dal supporto tecnico-professionale, ai centri culturali, con una particolare attenzione ai bisogni sociali delle comunità locali.
L’eterogeneità si esprime anche in termini di ambiti culturali coinvolti: dal cinema al teatro, dalla musica alla danza, dalla letteratura alle arti visive. Circa il 35% dei soggetti lavora nell’ambito teatrale, ma è interessante evidenziare anche la presenza di un nucleo di imprese (il 20%), altamente diversificato, attivo su più fronti e che riflette la ricchezza dell’offerta presente.
PICCOLISSIMI OPERATORI
I soggetti culturali presenti nel campione sono prevalentemente di piccolissime dimensioni: due terzi dei soggetti dichiarano un fatturato inferiore a 200mila euro, la metà di questi meno di 50mila euro. Nonostante le piccole dimensioni il 61,3% gestisce uno o più locali e/o spazi aperti al pubblico, di cui circa il 20% di proprietà del Comune. I soggetti sono stati classificati anche tenendo conto del livello di attenzione al sociale. Nello specifico si riesce a identificare, in base alle loro dichiarazioni, quelli che operano in contesti particolari, di forte degrado e/o in favore di categorie di persone con particolari condizioni di fragilità. Poco più di un terzo delle imprese opera in contesti difficili o si distingue per politiche di inclusione, in particolare nel settore della produzione (diverse compagnie teatrali che lavorano in contesti periferici o si occupano di lavorare con soggetti fragili).
LA REAZIONE
Dalla ricerca emerge però una forte capacità di reazione: oltre la metà dei soggetti si è attivata per beneficiare delle misure d’emergenza del Governo e più dell’80% dei soggetti ha ampliato la propria offerta on-line per far fronte alle chiusure e alle misure di distanziamento imposte per contenere la diffusione del virus.
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