Il bancario dimezzato. Fabi: “In 10 anni in provincia di Varese persi 2000 posti di lavoro”
Il ricambio generazionale secondo lo schema "ogni due uscite una nuova entrata" non garantisce la continuità del servizio nei territori. Frontini: "Le banche non si preoccupano più di garantire la funzione di coesione sociale all'interno delle comunità"
Ai tempi di Ubi Banca, ogni anno veniva presentato a Varese il Rapporto Einaudi sull’economia globale e l’Italia. Un appuntamento atteso e molto seguito, non fosse altro perché a presentarlo veniva Giorgio Arfaras, economista di rango e straordinario divulgatore. Nel 2018, parlando del futuro del lavoro, lo studioso, con un pizzico di ironia, disse che parrucchieri, sacerdoti e fisici delle particelle potevano dormire sonni tranquilli in quanto professioni non aggredibili dalla tecnologia globalizzata. Mentre ragionieri e badanti qualche preoccupazione dovevano averla, in quanto i primi possono essere sostituiti da un software e le seconde dai robot. (nella foto, la segreteria provinciale della Fabi, da destra: Marco Gri, Alessandro Frontini, Pier Paolo Ferri. Tra il pubblico Roberto Campoleoni e Andrea Magni)
Seppur con le dovute eccezioni, si può tranquillamente affermare che fino a ieri chi sceglieva per gli studi superiori il diploma di ragioneria o la laurea in economia e commercio aveva nel mondo della banca uno degli sbocchi principali e più ambiti. Questa corrispondenza non è più così verificata per le ragioni indicate da Arfaras: la tecnologia sta sostituendo il bancario in tante mansioni. Se alle affermazioni dello studioso affianchiamo i numeri resi noti dalla Fabi sulle uscite, più o meno volontarie, negli ultimi anni, ci si rende conto che quella previsione è destinata ad avverarsi. «In dieci anni – dice Alessandro Frontini segretario provinciale della Fabi – sono stati esodati dal sistema a livello nazionale 70mila lavoratori. Se guardiamo alla sola provincia di Varese siamo passati da 5mila bancari a 2800 scarsi».
E poiché l‘innovazione tecnologica continua a correre a ritmi elevati, è molto probabile che il flusso in uscita aumenterà in un tempo ancor più breve. Nell’assemblea con i delegati del territorio, in preparazione dell’undicesima conferenza nazionale di organizzazione della Fabi, che si terrà a dicembre a Milano, si è posto l’accento sulle modalità in cui le banche realizzano il cosiddetto ricambio generazionale.
Nelle ristrutturazioni bancarie in genere ogni due uscite viene fatta una nuova assunzione. Non c’è però alcun ragionamento su quanto vanno a incidere queste nuove assunzioni sui vari territori. «Da anni flussi costanti di bancari escono dal mondo del lavoro – spiega Frontini – e al loro posto si fanno entrare nuovi lavoratori, secondo il noto schema “2-1” . Ma questi nuovi entrati non vengono dislocati nei paesi dove ci sono gli esodi volontari. Anzi, spesso accade che in quelle aree chiudano anche le filiali con ricadute molto pesanti, perché le banche hanno anche una funzione di coesione sociale all’interno delle comunità. Lasciare scoperte intere zone e paesi o affidarle solamente alla tecnologia significa negare l’importanza e la responsabilità di ricoprire quella funzione».
I temi trattati dai trenta delegati della Fabi presenti al centro congressi De Filippi di Varese sono stati tanti: a partire dalle pressioni commerciali fatte dalle banche sui lavoratori ai nuovi modelli di business, dai sistemi incentivanti allo smartworking, passando per la mobilità territoriale dei lavoratori. «Sono temi importanti – conclude Frontini – che vanno affrontati aprendo un confronto molto chiaro che ha come punto di partenza inderogabile il contratto collettivo nazionale, mentre spesso si tenta di aggirarlo».
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