Coinvolgimento e miglioramento nello sport e in fabbrica, alla Liuc si parla di “kaizen”
Nel decimo convegno annuale del Lean Club ospite a Castellanza l'ex capitano del Torino Oscar Brevi. Con i docenti della Liuc Brevi ha discusso di kaizen: la cultura giapponese del miglioramento individuale e dell'ambiente del lavoro in un parallelismo tra allenatori e manager
Kaizen: un termine giapponese per indicare il “miglioramento continuo”, un atteggiamento praticato per vivere meglio, con tanto di risultati concreti, l’ambiente lavorativo. Una parola, costituita dall’unione delle due radici nipponiche kai (cambia) e zen (meglio), che soprattutto fa rima con successo come più volte sottolineato, e dimostrato, da Taiichi Ono, “padre” della Toyota.
Il kaizen e la sua applicazione sono stati analizzati ieri, giovedì 25 novembre, alla Liuc di Castellanza in occasione del decimo convegno del Lean Club, la collaborazione dell’Università Cattaneo con Univa (Unione degli Industriali di Varese), Agusta, Alenia Aermacchi, BTicino, Sices Group e Slimpa nata per diffondere il concetto “fare di più e meglio con meno” e l’insieme di tecniche e di strumenti che consentono a singole aziende o di accrescere la propria competitività globale.
Insieme a Tommaso Rossi e Rossella Pozzi, rispettivamente direttore e coordinatrice del Lean Club, i docenti della Liuc Business School Fabrizio Bianchi e Luigi Battezzati hanno infatti dialogato con l’ospite della serata Oscar Brevi, allenatore ed ex capitano del Torino nella storica promozione in A del 2006, in un parallelismo tra mondo del pallone e fabbrica, quest’ultima paragonata a uno spogliatoio di una squadra dove servono “leader carismatici in gradi di portare coinvolgimento”.
(Nella foto Brevi insieme al rettore dell’Università Visconti e Tommaso Rossi, direttore del Lean Club – e tifoso del Toro)L’oggettività di numeri e dati un aiuto prezioso per le analisi, anche nello spogliatoio
«Oramai l’allenatore è una figura simile a un manager – spiega Oscar Brevi, bandiera del Torino nei primi anni di gestione Cairo -. Un allenatore deve infatti gestire i rapporti con giocatori, staff, giornalisti ed è l’anello più debole, spesso il solo a rimetterci perché considerato l’unico responsabile». Responsabile di un non così piccolo gruppo di lavoro considerando che una squadra è composta non solo da giocatori ma anche da un numero importante di componenti dell’area tecnica.
«Oggi in uno staff di serie A ci sono almeno, tra analisti e preparatori, una quindicina di componenti, ma quello che più conta è la relazione con la squadra – prosegue l’ex allenatore della squadra di Gorgonzola e fra i pochissimi professionisti italiani ad aver calcato i campi di ciascuna categoria, dalla terza categoria alla Serie A -. Naturalmente rispetto a una fabbrica ci sono problemi diversi: un team calcistico di norma conta 25 calciatori, 25 aziende private che tuttavia condividono lo stesso obiettivo comune pur trovandosi a far conto con tantissime disparità e diverse situazioni contrattuali. Per questo diventa difficile avere una linea unica con il gruppo. Il compito fondamentale del responsabile è allora far estrapolare le caratteristiche dei singoli per valorizzarle al massimo per far rendere al meglio ciascun elemento e di conseguenza portare il maggior valore possibile al gruppo».
Nel confronto con lo spogliatoio prezioso è il supporto della tecnologia, non tanto come strumento di controllo – come sottolineato da Rossi -ma come strumento al miglioramento». «Il dato utilizzato nel giusto modo può motivare un giocatore – sottolinea Brevi mostrando alcuni dati tratti dagli allenamenti settimanali della Giana – Spiegare le motivazioni di un cambio, che spesso coincide con un oggettivo calo di prestazioni tracciato dai match analyst, aiuta a non rompere l’equilibrio tra allenatore e spogliatoio. Fino a poco tempo questa aspetto si basava unicamente sulle impressioni dei “mister” e i calciatori non sempre vedono di buon occhio certe scelte tattiche degli allenatori perché ritenute soggettive».
L’importanza del team building nel kaizen, sulle tracce di Taiichi Ohno e Toyota
I docenti Liuc Bianchi e Battezzati hanno sottolineato come il kaizen incarni una cultura politropa, a voler citare l’Odissea, applicabile in diversi ambienti lavorati, dal campo di calcio all’azienda sempre nel solco del continuo miglioramento. Un bravo manager deve infatti mettere al centro del proprio progetto la sua squadra, attraverso team building, comunicazione funzionale e visiva tra i componenti, e soprattutto un impegno quotidiano e costante.
«Kaizen e lean appartengono alla cultura del cambiamento – concludono Bianchi e Battezzati nel loro panel dedicato al coinvolgimento delle persone e alle tecnologie per il miglioramento in fabbrica – Una cultura che non nasce dal nulla né che si instaura velocemente».
Lo stesso Taiichi Ohno raccontava in Toyota ci sono voluti anni e anni in una visione a lungo termine. Toyota infatti afferma di non guardare solo a ciò che stanno facendo nel presente ma soprattutto al futuro. «Questo, tuttavia, è un aspetto difficile da applicare qui in Italia dove sono richiesti tempi brevi» ribadisce Battezzati, ricordando insieme a Rossella Pozzi che il Lean Club offre opportunità di master class proprio in Giappone, insieme a seminari su industria 4.0, visite di benchmark e altre attività.
Come dunque applicare efficacemente il Kaizen? Come spiegato dai due docenti in una serie di diapositive, per migliorarsi e migliorare il gruppo di lavoro serve un metodo costante che abbia come chiave di volta il coinvolgimento, al pari del show respect, utili a portare motivazione dell’ambiente di lavoro, questo poi deve essere affiancato dal corretto utilizzo della tecnologia e dell’analisi dei dati, preziosi strumenti per sfruttare al meglio non l’ambiente di lavoro ma le potenzialità del gruppo, in un continuo miglioramento.
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