Il processo sui prestiti di Fondazione Molina di Varese entra nel vivo: sentiti Gutierrez e Pallino
Quattro ore di udienza per sentire il numero uno di Ats e dell’allora commissario straordinario nominato al posto di Campiotti, in aula con l’altro imputato. Nella prossima udienza chiamati come testi Fontana, Marsico, Morello e Galli
Decidere di accendere un prestito obbligazionario e un’altra operazione ipotecaria coi danari di una fondazione come il Molina di Varese che si occupa di curare gli anziani costituisce peculato e concorso in peculato, reati di cui rispettivamente sono accusati l’ex presidente Christian Campiotti e l’amministratore di Rete 55 Lorenzo Airoldi?
Una domanda già di per sé impegnativa sotto il profilo giuridico, per un processo dinanzi al Collegio presieduto da Andrea Crema dove sono spuntati faldoni da centinaia di pagine ciascuno portati sottobraccio da legali e accusa.
Ma soprattutto esistono piani, sia pur estromessi dalla procedura penale, che hanno fatto diventare la questione del Molina un «caso» giornalistico, ancor prima che politico, con riflessi che qualche anno fa appassionarono le cronache e appena ricordati da uno dei testi, forse il più importante dell’udienza odierna che ha dato il là al cuore del processo che si celebra a Varese.
Stiamo parlando di Lucas Maria Gutierrez, oggi direttore di Ats Insubria e al tempo dei fatti – siamo nel 2016 – direttore «socio sanitario» del medesimo ente pubblico cui viene affidata la vigilanza «anche sugli istituti di diritto privato, come Fondazione Molina», ha detto il dirigente al principio della sua deposizione, e più volte ripetuto nelle due ore abbondanti, dove alle domande del pubblico ministero Lorenzo Dalla Palma indirizzate a ricostruire quei frangenti se ne sono sommate altre, delle difese.
Dunque il caso nacque come è noto proprio dalle cronache giornalistiche riportanti la notizia del «prestito» sottoscritto dalla Fondazione e rivolto a due tranches: 450 mila euro a Rete 55 Evolution spa legati a un prestito obbligazionario (convertibile in azioni) e di un ulteriore prestito obbligazionario di 500 mila euro con Mata Spa.
I capi d’imputazione sono dunque due, sebbene in apertura di seduta la parte civile (Fondazione Fratelli Paolo e Tito Molina) rappresentata dall’avvocato Fabio Belloni ha annunciato di non procedere per il prestito alla società che fa capo all’emittente televisiva poiché nel frattempo saldato, con gli interessi, da parte della stessa società, e di stare in giudizio solo per l’altra contestazione, quella legata a Mata.
«Ats Insubria ha compiti di vigilanza su soggetti di diritto privato e fondazioni in ambito sanitario che nel territorio di competenza dell’ente sono centinaia, e sporadicamente vengono sottoposte a controlli nella misura di un 10% l’anno», ha spiegato Gutierrez, «ma noi abbiamo attivato un controllo specifico non appena appreso dai giornali del prestito acceso da fondazione Molina».
Secondo la deposizione resa in aula da Gutierrez, venne contestualmente acceso un secondo faro sulla fondazione, questo per via della segnalazione da parte dell’allora sindaco Attilio Fontana circa l’estromissione di un operatore per la gestione del servizio mensa, «anche se in questo caso non ci fu secondo i nostri rilievi nulla da eccepire», ha illustrato Gutierrez.
Non poteva dirsi altrettanto per la vicenda dei prestiti: «Se il prestito con Mata era garantito attraverso ipoteca su di un immobile di valore, la tipologia dell’investimento obbligazionario con Rete 55 Evolution spa, oltre a non avere natura statica e conservativa, non risultava neppure coerente con gli scopi della fondazione e anzi avrebbe messo addirittura in pericolo la qualifica di onlus. Inoltre l’azienda che emise il prestito risultava in difficoltà e le obbligazioni convertibili in azioni avrebbero posto la Fondazione nella condizione teorica di diventare socia di Rete 55, e questo le avrebbe fatto correre rischi concreti».
Da qui il commissariamento di Campiotti e la successiva nomina di Carmine Pallino, nelle more però di un procedimento dinanzi al Tar che per un mese e mezzo riaprì le porte dell’istituto di via Luigi Borri a Campiotti, poi definitivamente estromesso nella decisione del più alto grado di giudizio amministrativo, il Consiglio di Stato.
Le difese degli imputati, entrambi in aula (Pietro Romano e Sara De Micco per Campiotti e Stefano Bruno per Lorenzo Airoldi) hanno puntato a dimostrare che il patrimonio di Fondazione Molina, consistente in circa 5 milioni di liquidità e oltre 30 come controvalore immobiliare non sarebbe stato intaccato da un prestito che ammontava complessivamente a meno di un milione e con tassi di interesse ben più alti rispetto a quelli sul mercato mobiliare come specificato dal secondo teste sentito, il dottor Pietro Della Ragione, ai tempi controller di gestione interno alla Fondazione cui venne affidata una audit preventiva su entrambi i prestiti secondo il quale nulla ostava sul piano finanziario.
Un altro punto affrontato dalle difese rappresentava anche il pregresso legato agli investimenti della Fondazione: «Ci risulta che dal principio degli anni 2000 sono stati in tutto 28 i milioni investiti dalla fondazione», ha spiegato l’avvocato Bruno, sebbene a quanto risulti dalla risposta del presidente Gutierrez si fosse trattato di prodotti bancari, garantiti da stabilità e solidità degli istituti di credito.
Il «colpo di scena», nell’economia di un’udienza fiume durata oltre 4 ore è stato l’arrivo del teste Carmine Pallino (inizialmente sembrava impossibilitato) che per due anni fu il commissario straordinario della Fondazione che ha parlato, riferendosi al prestito obbligazionario emesso da Rete 55 Evolution spa di «uno strumento finanziario atipico per un soggetto come Fondazone Molina, che presentava un rischio medio alto, anche alla luce della documentazione presentata dal soggetto emittente l’obbligazione», e «per questo motivo una delle prime comunicazioni a Rete55 è stata rivolta a esplicitare la volontà di non convertire le obbligazioni in azioni».
Insomma un procedimento complesso sul piano giuridico, interessante per la «scuola» che potrebbe trarsi dal dibattito (volto anche a individuare eventuali responsabilità in capo al presidente della Fondazione: era o no, un pubblico ufficiale?), dove però incombono sempre temi legati a politica e capitale: il pubblico ministero nella prossima udienza, a un passo da Natale ha chiamato a testimoniare nomi del calibro di Attilio Fontana, Luca Marsico, Matteo Morello e Luca Galli, quest’ultimo manager ed esperto finanziario espulso dalla Lega, ex presidente della Fondazione comunitaria del Varesotto e amministratore della stessa Mata, che figura al centro del secondo capo d’imputazione e che risulta beneficiaria dell’investimento ipotecario con Molina, investimento che, da quanto si è appreso nell’udienza di oggi, è stato finora puntualmente onorato dal debitore.
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