“Ho trasformato la mia solitudine in musica”, da Vergiate Antodangelo si presenta con “Solo”
“La musica è la lingua che amo parlare”. L'esordio a soli sedici anni del giovane cantante, tra urban e pop. Il singolo è stato girato al Sacro Monte ed è distribuito dalla prestigiosa The Orchard
«Non sono cambiato, ho solo capito com’è la vita qui intorno a me». Ha soli 16 anni ma nel suo singolo d’esordio il giovane rapper di Vergiate Antodangelo mostra una sincerità e una maturità, autoriale e sonora, da far invidia a molti cantanti ben più navigati nel proprio percorso artistico.
Disponibile dallo scorso venerdì 5 novembre su tutte le piattaforme digitali “Solo” è il primo singolo di Antonio D’Angelo pubblicato da Platinum e da The Orchard, nota sub-label della Sony. Un brano schietto, pulito nella produzione ma sporco nel gusto (con tanto di assolo di chitarra alternative rock nel finale) che unisce melodia e flow per raccontare le difficoltà del passato.
Momenti in cui è facile imbattersi, specialmente quando si è giovani e per la prima sulla propria pelle si provano certe emozioni, nel freddo di una cameretta, come la solitudine cantata da Antodangelo. La sensibilità non è infatti una prerogativa esclusiva dei più giovani ma si può affermare senza troppa paura di essere contraddetti che i corpi e le menti dei ragazzi sono un’importante cassa di risonanza delle emozioni, prima che “il tempo renda i cuori più freddi”, per citare un pezzo degli Arcade Fire tanto caro a David Bowie.
«Sono nato e cresciuto a Cosenza – ci racconta in una chiacchierata al Pierrot di Vergiate – Quando ero più piccolo ho sofferto molto l’assenza di mia mamma, insegnante che per lavoro si è dovuta spostare a Somma Lombardo. Cinque anni fa la mia famiglia ha poi deciso di trasferirsi al nord e così, se da un lato ho potuto riabbracciare mia mamma, dall’altro mi sono tuttavia ritrovato a dover abbandonare i luoghi e le persone legate alla mia infanzia per rincominciare da capo una vita qui a Vergiate». “Solo” è infatti una anche storia di integrazione tra ragazzi, di uno strappo, con una parte di sé – l’infanzia – ma anche con il proprio luogo di nascita.
«La musica è la lingua che amo parlare, riesce a trovare sempre il modo per farmi tirare fuori quello che davvero sento» così Antonio descrive la genesi del proprio brano e i primi passi nel mondo della musica, da sempre importante faro in famiglia grazie a papà Andrea. «Ho cominciato con i primi freestyle durante il lockdown del 2020 – prosegue Antonio -. Prima di allora scrivevo per sfogarmi ma non lo facevo “in rima”. Con il passare del tempo mi sono reso conto che stavo trasformando i miei sentimenti, la solitudine in particolare, in musica. Come può succedere a molti ragazzi, anche a causa del lockdown, mi sentivo perso, avevo bisogno di esprimermi e tirare fuori delle sensazioni che avevo maturato dentro di me».
Oggi per fortuna quel momento sembra passato e sicuramente un ruolo fondamentale lo ha avuto la musica che ha aiutato Antonio a creare nuovi legami a scuola, in paese e tra i ragazzi della sua generazione, con i quali sta fondando un collettivo per mettere in contatto giovani rapper e artisti emergenti, un gruppo per confrontarsi e scambiarsi opinioni su canzoni e produzioni.
«Dopo aver postato i primi freestyle su Instagram, ho conosco un ragazzo Emanuele, in arte Vame, con cui ho iniziato a fare i primi beat. A partire da quel giorno mi sono reso conto che molte persone mi vogliono bene, qui come a Cosenza sono molto supportato da tanti amici: ho avuto infatti l’opportunità di registrare i primi brani, le prime demo e di farmi conoscere sul territorio e dal mio attuale producer, che crede molto in me, come i miei genitori che non voglio deludere».
In pochi mesi sono così le prime soddisfazioni nel mondo della musica, come per esempio il videoclip registrato al Sacro Monte di Varese e la programmazione dei 4/5 brani, in uscita nei prossimi mesi. «Come nasce una mia canzone? Racconto quello che vedo, quello che sento – ci risponde -. In molti fanno musica per darsi un tono e farsi vedere, scrivendo cosa che non vivono o cantando cazzate. Scelgono di omologarsi a un modello e replicarlo, magari senza consapevolezza. Io rispetto le decisioni di tutti e ognuno fa musica, che è la nostra passione, come meglio crede ma secondo me un artista deve raccontare sé stesso e non un’idea stereotipata di artista. L’ispirazione è qua fuori, è la vita stessa».
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