Adamoli e il racconto di che cosa significa “trovarsi nella macchina del fango”

Nelle ore in cui l'indagine su Beppe Grillo tiene banco su tutti i giornali l'ex consigliere regionale e politico di lungo corso ne approfitta per una riflessione

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Nelle ore in cui l’indagine su Beppe Grillo tiene banco su tutti i giornali l’ex consigliere regionale e politico di lungo corso Giuseppe Adamoli ne approfitta per una riflessione che non si ferma ai titoli a caratteri cubitali di questi giorni, condividendo quello che ha significato per lui trovarsi al centro di un caso giudiziario dal quale, come noto, ne è uscito a testa alta da innocente. Accadde nel 1992, quando soffiava in tutto il Paese lo scandalo di Tangentopoli.


Scrive Adamoli:
A proposito di Grillo e della sua vicenda ho ricevuto questa mattina dei messaggi di questo tipo: “Tu sai cosa vuol dire essere dentro la macchina del fango. Perché non ci racconti cosa sentivi realmente nel profondo del tuo essere”.

Correva il drammatico anno 1992. Ero stato da poco chiamato al ruolo di presidente del gruppo regionale Dc in una Regione e in partito ormai acefali. Prima ero comodamente vice presidente del Consiglio regionale. Avrei poi coperto la carica allora più importante, difficile e ingrata. Il mio nome era su tutti i giornali come prossimo presidente della Regione.

Incredibilmente arrestato, diedi immediatamente le dimissioni anche da consigliere regionale che non erano state richieste da nessuno, nemmeno dall’ineffabile Pier Camillo Davigo che mi aveva interrogato in carcere e che non vedeva l’ora di rilasciarmi.

La mia lettera di dimissioni scritta con mano tremolante da San Vittore fu pubblicata da molti giornali con evidenza. La tragedia personale e famigliare potete immaginarla voi stessi e non la descrivo: ancora mi emoziona strappandomi qualche lacrima, pensando a mia moglie e ai miei figli.
In quel turbinio di commozioni, sbigottimenti e profonde tristezze ho però avuto il sollievo dell’appoggio della gente comune. E dei giornali, dopo il primo enorme scalpore da prima pagina.

Subito dopo i quattro giorni di carcere, quando camminavo sotto i portici a Varese, avevo qualche timore. Molti protagonisti della tangentopoli varesina, anche ex sindaci, erano insultati a voce alta.
Non mi è mai successo. Anzi sentivo un progressivo senso di vicinanza e di affetto.
Non era raro che fossi avvicinato con una stretta di mano: un giorno da una persona che si era qualificata come “avvocato”. Seppi anni dopo che era Attilio Fontana, poi sindaco di Varese ed ora presidente della Regione.

I media mi trattarono bene e la mia totale assoluzione fu salutata con piacere e attenzione. Anche qualche giornalista raccolse le accorate scuse di Di Pietro nei miei confronti.

Nel 2000 mi sottoposi alla prova delle preferenze per la Regione spinto da Mino Martinazzoli, candidato presidente. Era da tutti considerata, anche da mia moglie, una sfida impossibile rappresentando io un partito dell’1,5%: invece un successo straordinario.

Fui rieletto nel 2005 e nel 2006 rifiutai di andare a Roma pur sospinto da Castagnetti, Letta, Marini, Rutelli.
Basta così. Mi è già costato molto.

Giuseppe Adamoli

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Pubblicato il 19 Gennaio 2022
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