Ansia e attacchi di panico, sempre più universitari chiedono aiuto allo sportello psicologico
Intervista ad Angela Gambirasio, responsabile responsabile sia del servizio di consulenza sul metodo di studio sia del servizio di counseling psicologico di un ateneo milanese
Gli sportelli di consulenza psicologica delle università milanesi lavorano a ritmi sostenuti da oltre un anno. Da quando è apparso chiaro agli studenti universitari che i disagi causati dalla pandemia non sarebbero terminati nemmeno nel 2021. Nei primi periodi della pandemia, tanti studenti hanno “messo in pausa” gli studi, convinti come molti che dopo un breve periodo, tutto sarebbe tornato come prima. Adattarsi e accettare la Dad, introdotta anche nei cicli di studio più avanzati, ha messo a dura prova i ragazzi, soprattutto quelli abituati a frequentare e ad assistere alle lezioni in presenza e che trovavano motivazione nella collaborazione e nel confronto con i compagni.
«Siamo passati da avere un professionista più un collaboratore a disposizione delle consulenze psicologiche, a tre collaboratori e un professionista, più un collaboratore disponibile qualche ora. Una persona e mezzo, diciamo, a fronte delle quattro e mezzo di oggi». A spiegare il quadro della situazione è Angela Gambirasio, psicologa che si occupa di metodo di studio e counseling psicologico in un grande ateneo milanese. È lei ad organizzare workshop sullo studio auto-organizzato, sulla gestione dell’ansia e altre problematiche specifiche, quali ad esempio la gestione dello stress durante il lockdown.
«Nel 2021 le richieste ai servizi di supporto allo studio e di supporto psico-emotivo sono raddoppiate e il numero di colloqui per persona è quasi triplicato», spiega la dottoressa Gambirasio. «C’è stata una sorta di esplosione di disturbi legati all’ansia e agli attacchi di panico. Spesso studio accademico ed ansia vanno a braccetto, ma con il lockdown e la Dad ci siamo trovati di fronte ad una situazione nuova: la stragrande maggioranza degli studenti ha avuto molto più tempo a disposizione e lo ha usato male. La Dad e la mancanza di confronti più stretti tra compagni, hanno aumentato la demotivazione. Meno problemi per gli studenti lavoratori, che da sempre si trovano a gestire più situazioni diverse e che ora anzi hanno accesso a lezioni online, ma per gli altri è stato destabilizzante. Non doversi più alzare presto per prendere il treno o andare ai corsi, non avere la possibilità di frequentare le aule studio, non potersi confrontare con gli altri studenti: tutto questo ha creato una sensazione di smarrimento che ha frenato il percorso scolastico. Molti provano un grande senso di colpa perché non riescono a studiare, a concentrarsi, sentono di aver buttato via ore ed ore senza aver ottenuto alcun risultato e finiscono in questo loop: “studio tanto, ma non mi entra niente in testa, sono un fallimento”».
Ed è qui che entrano in gioco gli sportelli di consulenza psicologica di cui ormai sono dotati quasi tutti gli atenei: «Spesso bisogna lavorare su due fronti – spiega ancora Angela Gambirasio – Da una parte un sostegno per trovare il proprio metodo di studio o per capire perché il proprio metodo ha smesso di funzionare, dall’altro si offre consulenza psicologica, perché lo studio richiede concentrazione e se la testa si perde in pensieri negativi, studiare è difficile. A volte non basta però una consulenza breve: se ci rendiamo conto che serve un percorso differente, per tempo più lungo degli incontri previsti dall’università, guidiamo nella scelta e accompagniamo lo studente verso un servizio esterno, magari più vicino a casa, se si tratta di fuori sede. Le richieste di colloqui collegate all’aumento del carico emotivo sono aumentate molto: sono tutti ragazzi, dai 19 anni in su, alcuni anche molto più grandi, che hanno perso i punti di riferimento. Non hanno “paletti”, altri impegni e attività esterne e senza quelli si sentono persi. Studiano ore ed ore, a volte tutto il giorno, senza risultati».
E quali sono i consigli che i consulenti danno? Come si può uscire da questa situazione, fermo restando che oggi molte università hanno ripreso le lezioni e gli esami in presenza? «Noi diciamo spesso di tagliare le ore di studio – conclude la dottoressa Gambirasio -. Sì, diciamo di studiare meno. Mantenere attività extra: se si frequenta una palestra continuare a farlo, darsi un orario di inizio e uno di fine del lavoro sui libri. E soprattutto darsi degli obiettivi raggiungibili, misurarsi su di sé: due-tre mesi prima dell’esame, è bene capire quante pagine si riescono a studiare con profitto di quella materia specifica, in numero di ore giornaliere ragionevole e a quel punto si stabilisce quanto prima partire. Insomma, si parte da sé, anziché dall’esame, per avere piani realistici e che tengono conto di chi siamo, non dalla data dell’esame. Decidere così, anziché a caso, quante pagine al giorno si è in grado di studiare con profitto. Se in un giorno riesco a fare 20 pagine, meglio essere pessimisti e calcolare un ritmo di 18, che può sembrare poco, ma di fatto significa totalizzare 108 pagine a settimana, con un giorno di riposo e si avanza anche qualche giorno per il ripasso. In pratica lo studente deve abituarsi non ad “andare al massimo”, ma ad andare a “velocità di crociera”. Poi c’è chi lavora meglio sotto stress e, se gli esami vengono superati, perché no? Se un metodo funziona e lo studente è ragionevolmente sereno (una certa quota d’ansia è normale), si può non cambiare sistema… ma se ogni volta, studiano troppo o studiando all’ultimo, i risultati non ci sono, bisogna modificare strategia. A tutti noi piacciono le cose in cui siamo competenti: ecco studiare è un’attività come tutte le altre, bisogna imparare a farlo e soprattutto bisogna evitare sia di procrastinare all’infinito, sia di studiare sempre e troppo, altrimenti il senso di frustrazione prenderà il sopravvento».
Difficile dire se “il peggio” sia passato, ma tornare all’università per alcuni sarà davvero il modo per tornare a vivere.
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