I Cinque Martiri non saranno dimenticati: Samarate e Ferno ricordano
Sono scomparsi i diretti testimoni dei fatti, ma il ricordo dei cinque partigiani della Prima Brigata Lombarda viene mantenuto vivo da molti
Sono passati 77 anni, da quel 5 gennaio 1945. Sono scomparsi quasi tutti i testimoni diretti di quei fatti, ma Samarate e Ferno non dimenticano il sacrificio dei Cinque Martiri, i cinque partigiani uccisi nei dintorni di Ferno all’alba – appunto – del 6 gennaio.
«Oggi ci troviamo qui a commemorare l’uccisione di cinque giovani partigiani del 5 gennaio 1945 ad opera di un reparto di avieri del Battaglione azzurro dell’Aeronautica Militare, proveniente da Milano, messi sulle loro tracce dalla segnalazione di un giovane fascista. Grazie a voi che siete intervenuti a porgere omaggio a questi Patrioti, che furono giovani, morirono per la causa della libertà e resteranno indimenticati» ha esordito l’oratore ufficiale Mario Marchesini, nella celebrazione a Verghera, prima parte della commemorazione.
Ferno, 5 gennaio 1945
I cinque giovani partigiani erano Silvano Fantin, Nino Locarno, Claudio Magnoli, Dante Pozzi e Paolo Salemi. Per lo più originari della zona, dall’autunno erano parte della “Prima Brigata Lombarda”, una formazione che si muoveva tra Alto Milanese e Novarese, a ridosso del fiume Ticino, ed era guidata dal fernese Antonio Jelmini “Fagno”.
In quel duro periodo invernale – con i boschi “nudi” e le difficoltà di trovare cibo – erano per lo più di base a Mezzomerico in terra piemontese, ma il rastrellamento nel Novarese e un’operazione a Lonate Pozzolo li aveva riportati nei giorni a cavallo tra 1944 e ’45.
Il gruppo si era fermato ai margini del paese di Ferno, alla Cascina Brabbia. Era una posizione rischiosa, vicino all’abitato, ma si trovavano dal lato verso la valle del Ticino, che assicurava possibilità di movimento e fuga: quando furono sorpresi dai fascisti una parte (con il comandante Fagno) riuscì a sganciarsi, ma cinque rimasero intrappolati, complice anche la neve alta che ostacolava i movimenti. Si difesero sparando, ma i più vennero uccisi a sangue freddo, quando si erano arresi.
La cerimonia a Samarate: “A loro dobbiamo la libertà”
«A loro, e a tutti coloro che hanno combattuto, cadendo o sopravvivendo a quella terribile guerra, dobbiamo la nostra libertà e il fondamento della nostra Repubblica Democratica, che si esprime nei principi della costituzione, un paese che all’articolo 11 della carta costituzionale ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. È triste assistere ancora oggi, in queste stesse ore, a guerre che hanno il sapore dello sterminio pianificato da interessi economici e quant’altro. Il nostro ricordo accompagnerà questi partigiani con gratitudine».
Ferno, gli ultimi testimoni e il dovere della memoria
La cerimonia si è poi svolta anche a Ferno, di fronte al monumento che sorge là dove c’era la cascina Brabbia, oggi periferia di Ferno, fatta di villette e qualche vecchia casa (purtroppo quest’anno il monumento era “coperto” da un’auto in sosta).
La cerimonia a FernoA Ferno c’è ancora qualche anziano – allora bambino – che ricorda i fatti della cascina Brabbia. Già a Samarate erano state ricordate anche due figure centrali per mantenere la memoria di quei giorni: Carla Locarno (sorella di Nino, uno dei “cinque martiri”) scomparsa nel 2020 e poi Massimo Ceriani, genero, coordinatore dell’Anpi locale scomparso nell’ottobre scorso, che ha ricostruito la storia della Resistenza locale anche in un volume.
Anche la presidente provinciale Anpi Ester De Tomasi ha ricordato la figura di Carla Locarno, con una foto degli anni passati, accanto alla bandiera della “Prima Brigata Lombarda della montagna”.
«Ci manchi tanto cara partigiana Carla Locarno, ma in questo periodo di più».
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