‘Ndrangheta tra Saronno e Como, chiesto il processo per 43 persone
Sono considerati appartenenti alla locale di Fino Mornasco, vicina alla cosca Molè. Estorcevano denaro a grosse aziende del territorio e ad imprenditori nel settore della ristorazione

Erano stati fermati lo scorso 16 novembre nella tranche lombarda di una maxi inchiesta, coordinata anche dalle Dda di Reggio Calabria e Firenze, che aveva inflitto un duro colpo alla cosca della ‘ndrangheta dei Molè con oltre 100 misure cautelari eseguite in tutta Italia, ora la Procura di Milano chiede il rito immediato per 43 persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso.
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Qualche giorno dopo il blitz, nell’inchiesta della Squadra mobile milanese e della Gdf di Como, i gip di diverse sedi giudiziarie avevano convalidato 48 dei 54 fermi, con conseguenti misure cautelari, a carico degli indagati del filone lombardo, coordinato dai pm Sara Ombra e Pasquale Addesso.
Quattro risultavano latitanti, mentre altri due erano stati bloccati in Svizzera. Nel frattempo, alcuni indagati per posizioni minori hanno chiesto il patteggiamento e per altri è ancora in corso la procedura di estradizione. Per tutti i rimanenti, 43 in totale, è arrivata la richiesta di saltare la fase dell’udienza preliminare e andare direttamente a processo, su cui deciderà il gip Anna Magelli.
Tra questi vi sono alcuni personaggi molto attivi nel Saronnese a partire dalla famiglia Ficarra (Domenico classe ’84 e Domenico classe ’85, Massimiliano, Daniele, Antonio, Rocco), legati alla locale di ‘ndrangheta di Fino Mornasco. Alcuni di loro vivevano in provincia di Varese, altri in provincia di Como e insieme stringevano in una morsa il territorio tra il comasco e il varesotto, spremendo aziende e privati con continue richieste di soldi.
Tra questi c’era il 37enne Domenico Ficarra (insieme ad altri esponenti della sua famiglia) che aveva messo sotto scacco una grossa impresa di Gerenzano, arrivando ad estorcere almeno 500 mila euro al proprietario. Attilio Salerni e il fratello Antonio, invece, sarebbero stati gli esecutori materiali «di violenze e minacce nei confronti dei dirigenti» della Spumador Spa, azienda di bevande gassate finita nella morsa dei clan.
Attraverso le intimidazioni i due avrebbero acquisito «il controllo e la gestione delle commesse di trasporto “conto terzi”» di Spumador “per il tramite di Sea Trasporti», società a loro riconducibile. E avrebbero partecipato «al “cartello” di imprese, insieme alle famiglie Palmieri e Stillitano, con i quali monopolizzavano le commesse di Spumador». Per un totale di oltre 1,1 milioni di euro tra il 2015 e il 2019.
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