“Era il poeta di Dio e voleva musiche con melodie facili”

Il musicista Bepi De Marzi ricorda la sua amicizia con David Maria Turoldo

Varie Italia

Bepi De Marzi, che cosa ti piace ricordare, in particolare, di David Maria Turoldo?
«Dopo trent’anni ho soltanto voglia di piangere. L’hanno dimenticato, o addirittura ne osteggiano il ricordo, a cominciare dai suoi confratelli. Scrittore e poeta, figura di spicco nel mondo intellettuale, scomodo e profetico, gigante dello spirito. (sopra David Maria Turoldo in una foto di Jo Locatelli)

Tu che idea ti sei fatto di questo uomo?
«Era il poeta di Dio nato per l’emozione della folla. Dall’intimità dei suoi silenzi spandeva la sua voce alle assemblee, alle moltitudini. Voleva un canto dilatato, totale, con melodie facili, ma costruite bene, ispirate e memorizzabili per dei testi di altissima qualità. Evitava accuratamente il verseggiare in ai-ei-oi-ui che impazzava dopo il Concilio e che grottescamente ancora resiste; evitava le finali tronche, che diceva “sono naziste!”.

Un cesellatore della parola e un musicista, organista, compositore e direttore di cori: quale erano i vostri rapporti, come vi intendevate?
«A Sant’Egidio, nell’intenso operare per il rinnovamento liturgico con le nuove versioni dei Salmi, collaborava con lui un giovanissimo e meravigliosamente ispirato musicista spontaneo, Ismaele Passoni, che nell’ambiente curiale milanese, lombardo, non era apprezzato, e proprio per la sua geniale naturalezza, vero dono di Dio! Così Padre David ha chiamato me a lavorare insieme. Suonando e cantando le sue prime melodie, ho pianto di felicità».

Hai musicato qualcosa per lui?
«Ho seguito subito il suo impeto nel desiderio di bellezza. In quegli anni imperversavano i gruppuscoli giovanili con testi e musiche artificiose, frutto di un equivoco giovanilista che si dimostrava progressivamente fallimentare. E basti notare l’assenza dei giovani nelle attuali liturgie per capire quegli errori irreparabili. Con la sua stupenda poesia ho cantato la Mamma di Gesù nel Presepio, poi ai piedi della Croce. E sono nati tanti piccoli Magnificat anche per i miei Crodaioli».

Turoldo era un religioso che curava molto le sue liturgie e non teneva conto dell’orologio. In San Carlo faceva scuocere il risotto ai milanesi con le sue Messe che erano però sempre affollate. Visto da Bepi De Marzi: quali erano l’attenzione e il posto dati alla musica e ai canti?
«Oggi le sante messe hanno l’impostazione meccanica da catena di montaggio. I celebranti brandeggiano la particola e il calice con una mano sola come per dei brindisi al ristorante. Intingono l’Ostia e la sgocciolano come se fosse una pietanza. Leggono perfino il Padre nostro, e si capisce dalle espressioni generali che la mente è altrove».

I salmi sono l’eco della Parola di Dio: Turoldo s’era cimentato con la sua genialità e il suo rigore nel dare nuova linfa ai Salmi rifuggendo da ogni concessione alla moda e al banale. Tu sei a tua volta critico, anche severo, verso la parte della musica e dei canti. Immagino abbondanza di convergenze nel giudizio su certa modernità…
«Non si tratta di modernità, si tratta di banalità. E la nostra Chiesa, in Italia e dintorni, affonda sempre più nella banalità più desolante. Le sante messe televisive fanno testo: cori improvvisati con gente nell’età di mezzo che canta con sciarpe colorate indossate per l’occasione, musiche incomprensibili e senza storia, ingiustificabili, commentatori inopportuni che le coprono, ma inconsciamente, celebranti che sussurrano o borbottano, lettori stralunati mandati all’ambone. Oppure vociatori solisti al microfono che imperversano nel mutismo dei pochi presenti. Anche da San Pietro in Vaticano, con i cori diretti da sbracciatori inguardabili, con le assemblee distratte o deambulanti nel chiacchiericcio delle navate, vengono pessimi esempi».

In una sua poesia nei “Canti ultimi” parlava della vita che si apprestava “a rendere, nel canto” con il suo volto scavato e che sembrava già immerso in Dio…
«Aveva scritto: “Nulla chiediamo, se non di cantare: lodarti in nome di ogni creatura”. Turoldo parlava con insistenza della dignità dell’uomo, del suo valore, dell’irripetibilità perché ognuno di noi è unico. Secondo te, qual è la provocazione più forte che resta di lui, in questo tempo così scosso e frastornato? La commozione nella fratellanza. Era molto amico di Mario Rigoni Stern: insieme camminavano qualche volta nella vastità dell’altopiano di Asiago. Insieme dicevano “siamo tutti paesani».

E il suo messaggio più attuale?
«L’hai scritto anche tu nel tuo libro insieme a Pronzato in quel 1992: “Il coraggio di sperare».

Già trent’anni dall’addio a David Maria Turoldo

di
Pubblicato il 06 Febbraio 2022
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.