Un operatore sanitario dell’ospedale di Varese risponde a chi si è lamentato per il ricovero dell’anziana madre

L'operatore risponde alle critiche e chiede di non gettare fango su chi faticosamente lavora in corsia ma contestare le leggi inapplicate e un modello assistenziale vecchio di 30 anni

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Un operatore sanitario dell’Asst sette Laghi replica alla figlia che si è lamentata del trattamento ricevuto dalla madre durante il ricovero all’ospedale di Varese.


Spettabile redazione di Varese News,

Con la presente vorrei rispondere alla parente della signora che ha avuto un’esperienza a dir poco negativa in occasione del ricovero della propria madre, descritto nell’articolo “Il ricovero in ospedale di mia madre e le tante magagne che offendono la dignità del cittadino”. Su alcuni fatti ha la mia più sincera vicinanza umana e il mio sentito dispiacere, ma su altre sue dichiarazioni non mi trova per nulla d’accordo.

Sono un operatore sanitario ed è avvilente che per esprimere il proprio disagio si ricorra immediatamente alla stampa che, non è il caso di questa testata, non vede l’ora di scrivere l’articolo denigratorio nei confronti di chi da due anni, ma anche di più, si trova a dover lavorare in una sanità pubblica sempre più vituperata, abbandonata e rimasta a modelli assistenziali e organizzativi di 30 anni fa e cerca sempre di dare il proprio massimo, a discapito della propria salute e dei propri affetti. Chiederei alla signora se si è rivolta anche alla coordinatrice/coordinatore infermieristico/a, al primario/a, all’Ufficio Relazione col Pubblico…

“Fuori dal Pronto Soccorso, con una temperatura di 4 gradi sotto zero, attendiamo di sapere qualcosa, vagando dalle 22.30 alle 2 fra l’ingresso e la hall dell’ospedale, per scaldarci un pochino”. 

Posso comprendere che le attese siano sempre snervanti ma sono due anni che viene sempre detto, anche dai soccorritori delle ambulanze, di lasciare un numero di telefono per essere ricontatti in caso di novità e di non sostare nei locali di attesa di PS e ospedale. La scelta di rimanere al freddo è stata della congiunta, non obbligata da nessuno del persona, sicuramente. 

“Comunque notiamo – e qui il poco tempo non c’entra – che il carrello col cibo non è posizionato sempre accanto al letto, ma appena più in là, abbastanza perché un paziente allettato non possa bere da solo durante il giorno…”

Se il carrello è posizionato in modo che non possa arrivare a prendere è l’acqua, probabilmente ci sarà un motivo: come lei stessa ha affermato la madre è disorientata, probabilmente è anche disfagica (ovvero non riesce a deglutire in modo fisiologico) e lasciarle una bottiglia d’acqua normale provocherebbe una inalazione; deve essere somministrata una nutrizione particolare dal personale addestrato. 

“Alla paziente che chiede di andare in bagno, il personale risponde di farla a letto perché non ha tempo di accompagnarla.” 

Non siamo noi che non abbiamo voglia o tempo di accompagnare il degente in bagno: se le condizioni cliniche generali non consentono un accompagnamento in bagno, si risponde così anche per evitare una caduta che potrebbe peggiorare le sue condizioni; discorso diverso è per chi sente lo stimolo, avvisa il personale e si posiziona un idoneo presidio di raccolta diuresi. 

“I televisori, installati grazie a donazioni private, potrebbero far entrare nell’isolamento dell’infermità una notizia, aprire uno spiraglio di interesse; ma sono spenti, con collocazione ignota dei telecomandi.”

Su questo le do pienamente ragione, tranne nel punto in cui scrive “collocazione ignota dei telecomandi”: ci sta accusando di nasconderli e non volerli dare? Non ne abbiamo a sufficienza, perché rubati da altri degenti, rotti e non più sostituiti…in alcune strutture private si paga una cauzione, poi restituita, per evitare questi disagi. Lo segnali all’URP 

Alle dimissioni l’ultima chicca: mentre i parenti – ingenui e ottimisti- aspettano che qualcuno li avvisi che la paziente sta uscendo, lei è già verso casa trasportata dal SOS. Dobbiamo credere che il personale sia così indaffarato che non riesce ad aprire la porta e dire “sua mamma sta uscendo”(tempo: 10 secondi)’?

Aveva fornito il proprio recapito telefonico? Perché le dimissioni si concordano con la troupe medica e se lei non avvisa che si sarebbe presentata, è un disguido a cui si sarebbe potuto ovviare molto più semplicemente. E poi l’ambulanza viene sempre chiamata dal parente (tranne in casi particolari) quindi, si poteva concordare anche loro l’eventuale chiamata di arrivo sul posto.

“Chiudo con una provocazione: se manca il personale (ma c’è moltissimo lavoro), non si potrebbe coinvolgere in qualche piccolo servizio, previa debita selezione e formazione e con le necessarie precauzioni sanitarie, qualche percettore del reddito di cittadinanza? Potrebbe almeno avvicinare il carrello ai letti, dar da bere, imboccare i pazienti che non abbiano particolari complicazioni. O potrebbero entrare i parenti (tamponati), almeno per garantire il nutrimento!”

Anche io chiudo con una provocazione: fare assumere anche più personale adeguato no? Non dei semplici percettori di reddito di cittadinanza, a cui si possono far svolgere tranquillamente altre mansioni. Sui parenti, la garanzia del tampone non esclude la assenza del virus, che potrebbe infettare i nostri cari o i vicini di stanza che, per diversi motivi, non sono stati vaccinati, quindi gli assembramenti di 4 persone per stanza, in questo periodo, sono ancora da evitarsi. 

Ci sono numerose leggi che ci dovrebbero e vi dovrebbero tutelare, ma non vengono rispettate, come il numero di personale notturno che dovrebbe essere uguale a quello diurno o il numero effettivo di organico che ci dovrebbe essere (DLgs 26.11.1999 n.532, art.17, co.2 o L.05.02.1999 art. 11 comma 1). Io insisterei su questi aspetti.

Porgo i più distinti saluti, con l’augurio che non succedano mai più questi fatti. 

Un operatore sanitario. 

Redazione VareseNews
redazione@varesenews.it

Noi della redazione di VareseNews crediamo che una buona informazione contribuisca a migliorare la vita di tutti. Ogni giorno lavoriamo cercando di stimolare curiosità e spirito critico.

Pubblicato il 09 Febbraio 2022
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  1. DEDE CONTI
    Scritto da DEDE CONTI

    Ho avuto alcuni anni fa con mio marito un’esperienza simile alla signora che ha scritto. Non erano tempi di covid, ma evidentemente nulla è cambiato. Non basta dire si rivolga al coordinatrice/coordinatore infermieristico/a, al primario/a, all’Ufficio Relazione col Pubblico, i primi a doversi ribellare a questa situazione INCIVILE sono proprio loro, gli infermieri e i medici. Bene ha fatto la signora a rendere noti i disservizi pdel PS. Poi perché si firma “un operatore sanitario”? Non ha un nome e cognome? La signora ci ha messo la faccia.

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