Al Memoriale di Milano la Shoah è raccontata dalla potenza delle sensazioni

La rassegna Visionare dell'ordine degli architetti di Varese ha fatto tappa al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano. Elena Brusa Pasquè: "Questo Memoriale è un luogo dello spirito"

«La perdita di senso rappresentata dalla Shoah è la chiave per interpretare questo luogo». A parlare è Guido Morpurgo, l’architetto che ha progettato, insieme alla collega Annalisa de Curtis, il Memoriale di Milano. L’opera è dedicata agli ebrei, di cui 605 milanesi, che durante l’occupazione nazifascista passarono per il binario 21 della stazione Centrale di Milano da dove partivano i treni diretti ai campi di stermino.

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UN LUOGO ALIENO DOMINATO DAL BUIO E DAL SILENZIO

Il Memoriale, che si estende su una superficie di circa 7.000 metri quadrati, si sviluppa su due piani e riproduce, nel pieno rispetto della morfologia originaria del luogo, il percorso seguito dalle persone che in condizioni disumane e nell’indifferenza generale venivano deportate. «La violenza ottusa e priva di finalità – ha spiegato Morpurgo – è il carattere filologico del Memoriale. Abbiamo voluto riprodurre le condizioni fisiche visive e quel senso di straniamento totale generato da un luogo alieno, senza misura e senza senso».

Cercare di afferrare il dramma di quel momento è un’operazione molto difficile ed è per questo che il Memoriale della Shoah di Milano interroga il visitatore su un piano diverso. Siamo lontani dalle impressionanti cataste di valigie, occhiali, scarpe e indumenti che si vedono ad Auschwitz. Qui il visitatore ha la possibilità di fare un’esperienza e percepire quel senso di estraneità e smarrimento violento che un luogo come questo è in grado di generare. Il percorso è immerso nel buio e nel silenzio, violato solo dal suono ritmico e cupo dei treni che transitano dalla Stazione Centrale.

IL RUOLO DELL’ARCHITETTURA NELLA MEMORIA

La visita al Memoriale, organizzata dall’Ordine degli architetti della provincia di Varese nell’ambito della rassegna Visionare, è stata anche l’occasione per affrontare una riflessione sul rapporto tra etica e architettura in una conferenza introdotta dalla presidente Elena Brusa Pasquè a cui hanno partecipato Fulvio Irace, storico dell’architettura, e i curatori del progetto, Guido Morpurgo e Annalisa de Curtis.
Un luogo come il Memoriale della Shoah di Milano mette tutti di fronte a una riflessione che Irace ha sintetizzato in una domanda precisa: «Come si fa a narrare l’inenarrabile?».
La risposta dei due architetti riflette perfettamente il senso dialettico che si percepisce visitando il Memoriale: bisogna tornare alle origini per comprendere il dna del progetto senza mai dimenticare che l’architettura è un atto di amore e non una messa in scena.

L’ANTIDOTO DELLA CONOSCENZA

La Shoah, lo sterminio degli ebrei d’Europa, è una frattura profonda tra l’uomo e la storia. Il Memoriale di Milano però ci ricorda che conoscenza e memoria critica possono aiutarci a costruire gli anticorpi necessari per mantenere in salute la nostra democrazia. La biblioteca, che presto ospiterà i 40mila volumi della Fondazione Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea), è l’unico punto luminoso dell’intero percorso. Un corpo in metallo calato dall’alto che con le sue grandi vetrate si affaccia sulla strada. Istantanee di persone, automobili e case. Quanto basta per riportare il visitatore alla vita.

La stazione Centrale di Milano racconta il Novecento e la Shoah

Arrestata a Viggiù e deportata ad Auschwitz

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 14 Marzo 2022
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