La stazione Centrale di Milano racconta il Novecento e la Shoah

La rassegna Visionare dell'Ordine degli architetti porta alla scoperta del Memoriale della Shoah: un'opera nata settant'anni dopo la tragedia delle deportazioni, che sarà presentata dai progettisti

memoriale Shoah

È stato un luogo a lungo negato, nascosto nelle viscere della città, sconosciuto ai più. È lo scalo merci della stazione Centrale di Milano da cui, tra 1943 e 1945, partirono ventitré convogli che portarono verso i campi di sterminio migliaia di ebrei e oppositori politici della Lombardia. Un luogo di cui la città si è riappropriata nel tempo, negli ultimi vent’anni, fino ad arrivare a trasformare quei binari dismessi nel Memoriale della Shoah.

La ridefinizione degli spazi è una vera opera di architettura, a cui la rassegna Visionare, proposta dall’Ordine degli Architetti di Varese, dedica domenica 13 marzo una visita con due guida d’eccezione, i progettisti, gli architetti Guido Morpurgo ed Annalisa de Curtis.

La stazione Centrale di Milano

È un luogo che si inscrive nella storia della stazione Centrale di Milano, un luogo che ha attraversato l’intero Novecento, tra visioni, incertezze, inciampi della storia. Pensata fin dall’ultimo scorcio dell’Ottocento per sostituire la precedente Centrale che sorgeva nel luogo dell’attuale piazza Repubblica, progettata nel 1912 , la grande stazione richiese due decenni per arrivare a compimento: la Prima Guerra Mondiale ne fermò il cantiere e l’impianto fu attivato solo nel 1931. Nel frattempo il traffico era cresciuto e fu necessario mantenere anche diversi altri capolinea periferici, come la stazione Porta Genova e quella di Porta Nuova, poi arretrata a Porta Garibaldi.

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 Dettaglio di una mappa di Milano nel 1925: in alto si riconosce il grande “vuoto” urbano lasciato fin dall’inizio del secolo per la “nuova stazione passeggeri“, l’attuale Milano Centrale, che sostituì la vecchia Centrale (in basso a sinistra nell’immagine)

La rivoluzione ferroviaria del 1931 trasferì anche il grosso dello smistamento delle merci dallo scalo Sempione (che era nell’area a ridosso dell’attuale Fiera) alla zona di campi a Est della città, verso Segrate. Rimasero in città solo lo scalo bestiame e derrate e i binari per le merci celeri, che venivano trattate in una serie di binari sotto la stazione Centrale, appunto, totalmente separati dal traffico passeggeri.

I binari nascosti e l’indifferenza

Nascosti agli occhi dei più, questi furono i binari che le autorità naziste e quelle fasciste della Repubblica Sociale Italiana usarono per deportare migliaia di ebrei e oppositori politici, compresi gli operai delle grandi fabbriche che già dal 1943 avviarono scioperi per la pace e per il pane, a Milano, ma anche nelle zone altamente industrializzate dell’Alto Milanese e del Saronnese. Ma al contempo la deportazione era anche l’atto finale di una discriminazione iniziata cinque anni prima, nel 1938, con le leggi razziste varate dal regime che isolarono e privarono gli ebrei del lavoro, della scuola, della socialità.

Da questo luogo è passato tra gli altri anche Calogero Marrone, capo ufficio anagrafe del Comune di Varese, che nel 1944 fu messo su uno di questi treni dopo un lungo periodo di torture presso il carcere di San Vittore a Milano (morì a Dachau nell’autunno di quell’anno). Marrone fu arrestato e ucciso per aver fornito a molti ebrei documenti “falsi-veri”, per consentire loro la possibilità di scappare in Svizzera. Marrone non aveva voltato la faccia dall’altra parte, aveva avuto coraggio e per salvare persone che neppure conosceva, ha pagato con la vita.

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In questi vagoni entrò la piccola Liliana Segre, che aveva appena 13 anni, con suo padre. Quello che lei ha voluto sempre ricordare nelle sue innumerevoli conferenze, è l’indifferenza con la quale vedeva i milanesi di allora far finta di non vedere.
La parola “Indifferenza” è un elemento architettonico potente del Memoriale, che guida nel percorso di visita, allestito tra l’altro con carri ferroviari originari del tipo in uso all’epoca. E il Memoriale è anche innesto del XXI secolo dentro ad una grande architettura che ha attraversato il Novecento.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 12 Marzo 2022
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