A Visionare il “visionario” Italo Rota, che racconta il passato pensando al futuro

Rota è stato protagonista, a Villa Panza, dell'edizione di aprile dei dialoghi di architettura ideati dall’architetto Fulvio Irace, rassegna organizzata dall’Ordine degli Architetti Varese

Italo Rota a Visionare

(Foto di Stefano Arnaboldi)
“E’ necessario consumare il passato per poter progettare il futuro”. Si può forse riassumere cosi il pensiero di  Italo Rota, per il quale la definizione di architetto visionario non è un vuoto luogo comune, ma una rappresentazione della realtà.

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Rota è stato protagonista, nella serata del 12 aprile a Villa Panza, dell’edizione di aprile dei dialoghi di architettura ideati dall’architetto Fulvio Irace, moderatore e curatore di Visionare 2022, rassegna organizzata dall’Ordine degli Architetti Varese: una serata particolarmente seguita, soprattutto nella sua edizione on line, che ha visto 290 presenze nel webinar, introdotta dalla presidente dell’Ordine Elena Brusa Pasquè, e poi lasciata alle intuizioni dei due architetti dialoganti, Rota e Irace.

Da sempre maestro del “vedere da un’altra prospettiva”, Italo Rota ha ormai un lungo curriculum di successo nella ristrutturazione di musei e nell’allestimento di spazi culturali: «Ogni opera di Italo è destinata, in qualche modo, a lasciare il segno. E’ un vero visionario, e perciò la sua presenza si addice a questo ciclo» ha confermato Fulvio Irace, che con lui ha allestito “Good N.E.W.S.” mostra allestita alla Triennale di Milano.

«Gli architetti vicini alla mia generazione si ricordano di un epoca dove c’era solo il rapidograph e la matita, la capacità di disegnare era la forma di mediazione piu immediata e vitale – ha ricordato Irace – Italo aveva la fama di essere il principe dei disegnatori: malgrado non sembri per la sua aria svagata, aveva una attenzione maniacale ai dettagli. Ma dico di più: Italo è un po’ come un mago, che riesce a trasferire idee e concetti in immagini e oggetti fisici, sempre dall’impatto enorme sul pubblico».

Italo Rota a Visionare
Fulvio Irace, Italo Rota e la presidente dell’Ordine Elena Brusa Pasquè

Gli allestimenti museali in generale sono il luogo principe per queste realizzazioni, che permettono di rivalutare il concetto dell’effimero legato al tema dell’allestimento. «Una costante che ho sempre mantenuto nei miei lavori è quella dei musei e delle mostre come luogo di sperimentazione dell’architettura – ha spiegato Rota a Varesenews – Il padiglione Italia all’Expo di Dubai (Che lui ha progettato insieme a Carlo Ratti, ndr)  per me non è una architettura, è una grande installazione sperimentale che si presta benissimo, perchè ha tutte quelle caratteristiche di effimero e che oggi si può anche riciclare. Si può concepirla, per esempio, come un’installazione di economia circolare, e quindi come un luogo di altissima sperimentazione».

Una sperimentazione che non riguarda solo i luoghi o gli oggetti in mostra, ma anche chi vi partecipa: «Obiettivo del mio studio non sono solo gli oggetti da esporre, ma anche i corpi che li guardano – sottolinea Rota –  Quando andiamo a vedere una mostra ci andiamo infatti con il nostro corpo a vedere degli oggetti fisici».

Sarà anche per questo che una delle principali attrazioni della mostra in Triennale era una grande palla di compensato con tanti buchi quadrati, all’interno dei quali c’erano i plastici di alcuni dei principali monumenti italiani: «Una delle installazioni più frequentate da persone di tutte le età: perchè ogni foro mostrava un punto di vista diverso, e non statico come avviene con i plastici» ha spiegato Irace.

Nel carnet di Italo Rota, comunque, non ci sono solo il padiglione Italia di Dubai e la mostra in Triennale: un altro successo è quello della realizzazione del museo del Novecento in una delle torri dell’Arengario, che si affaccia su piazza Duomo a Milano: «Il museo del Novecento secondo me ha una storia molto bella  – spiega – Perchè ha stabilito che al centro della città ci fosse il Novecento, non il passato. E questa dichiarazione fatta nel 2010 è stata l’inizio di tutte le trasformazioni che Milano desiderava da un secolo: grattacieli, futurismo, mutazione urbana» L’architetto però ci ha aggiunto del suo, sia nella struttura dei percorsi museali, sia nella valorizzazione di alcune delle opere, come l’iconico “Quarto Stato” di Pelizza da Volpedo.

La sua ultima opera, raccontata per prima nella serata dell’ordine degli architetti di Varese, è invece la nuova sede dei Musei Civici di Reggio Emilia, dove sala per sala ha organizzato il luogo adatto per mettere in evidenza i tanti eterogenei “tesori” di quella città. Un lavoro che è durato anni, in un costante dialogo con i conservatori del museo e che ha portato a “incastonare” il loro pezzo più prezioso, una venere del neolitico, in una vecchia cassaforte dell’ottocento, ma anche a realizzare sale e angoli dove protagonista è la cultura, ma anche l’emozione che essa dà al visitatore.

«Penso che l’Italia sia un caso a parte, a causa della preponderanza della presenza del passato – ha concluso Rota – Questo sta creando un grande handicap per i nostri giovani, che non si sentono di accogliere una sfida così grande. Si sentono molto frenati, mentre noi avremmo bisogno di tante Milano, cioè di città fatte da persone che vogliono ancora vivere, correre, essere dentro il mondo. Per andare avanti però bisogna sacrificare qualcosa. Io l’ho imparato sulla mia pelle: in casa avevamo un bellissimo servizio di Sèvres, comprato in un viaggio, e a furia di berci il tè lì dentro credo di avere acquisito qualche qualità da tanta bellezza antica. Certo però che a furia di usarlo mi è rimasta una sola tazza: il resto è andato, nel tempo, in frantumi. Quel consumo personale di “bellezza del passato” però mi ha dato delle qualità per immaginare il futuro. Mentre invece se il passato lo conservi e basta, alla fine non serve più».

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Pubblicato il 13 Aprile 2022
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