Caso Piccolomo, Cassazione conferma: “Non andava nuovamente processato”
Passa la tesi della difesa, il “ne bis in idem“, rigettato il ricorso ricorso di Procura generale e Parte civile, che dovrà pagare le spese

I giudici di Roma danno ragione alla difesa di Giuseppe Piccolomo, l’imbianchino di Corato in carcere per l’omicidio di Carla Molinari (mani mozzate) ma che dopo l’ergastolo ha dovuto affrontare anche un altro processo, quello per la morte della moglie Marisa Maldera avvenuta nell’inverno del 2003 per la quale l’uomo ha scontato una condanna con pena definita su accordo tra le parti (un anno e 3 mesi).
Tuttavia venne imbastito un nuovo procedimento penale nei suoi confronti con l’accusa non di omicidio colposo – cioè di un “semplice“ incidente stradale dove la donna perì arsa viva – ma per omicidio volontario, con l’ipotesi cioè di una somministrazione incongrua di tranquillanti per farla addormentare, simulare un’uscita di strada e per appiccare poi le fiamme all’auto in un campo a Caravate.
Per questa ricostruzione Piccolomo venne nuovamente condannato (ma all’ergastolo) in primo grado dalla corte d’Assise di Varese, nonostante l’eccezione preliminare (prima dell’inizio del dibattimento) con la quale il difensore Stefano Bruno invocò il “ne bis in idem“, principio giuridico secondo il quale non si può venir processati per il medesimo fatto (dopo cioè che si è stati condannati). In Appello a Milano difatti la corte diede ragione alla difesa ma quella decisione venne impugnata sia dalla Procura generale (l’accusa), sia dalla parte civile (cioè le figlie dell’uomo che hanno sempre creduto alla colpevolezza del padre per l’ipotesi delittuosa più grave. Di oggi la decisione della cassazione che ha rigettato i due ricorsi condannando la parte civile al pagamento delle spese processuali. «Un processo che nemmeno doveva iniziare».
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