La prima “pietra d’inciampo” di Gallarate ricorda l’operaio Vittorio Arconti
È stata posata in via Mameli, vicino alla ferrovia, dove abitavano i fratelli Arconti. Vittorio fu deportato per aver organizzato uno sciopero come resistenza al fascismo e per chiedere la fine della guerra
«C’era un cortile e loro abitavano qui». Nadia Arconti è la nipote di Vittorio Arconti, fiero oppositore del fascismo, deportato in Germania e ucciso, per aver organizzato uno sciopero per chiedere la libertà, la fine della guerra, una vita in pace. Da oggi lo ricorda una “pietra d’inciampo”, una piccola targa sul marciapiede che sarà notata da chi attraversa la strada in via Mameli all’incrocio con via Curioni, a Gallarate, appena dietro il rilevato della ferrovia.
È la prima “pietra d’inciampo” posata a Gallarate, la prima di tre che ricorderanno – oltre ad Arconti – anche Clara Pirani Cardosi e Lotte Froelich, due donne ebree, uccise solo per la loro origine: il percorso per arrivare alla posa delle tre pietre è stato curato (con un percorso di quasi quattro anni) dalle sezioni cittadine dell’Associazione Mazziniana e dell’Anpi.
Il manufatto – che fa parte del progetto mondiale ideato da Gunter Demnig – è stato posato e svelato questa mattina, sabato 23 aprile, alla presenza anche del sindaco della città Andrea Cassani. «Un piccolo simbolo che hanno messo Anpi e Mazziniani, che si sono fatti carico di questa iniziativa» ha detto il sindaco. «È importante ricordare le persone che hanno perso la vita nel corso di quel conflitto. Siamo in una situazione di guerra alle porte dell’Europa, questo gesto ha ancora maggiore importanza».
«È un simbolo importante, ricordare le vittime di una morte atroce – e Gallarate ne ha avute tante – è un dovere cittadino» ha aggiunto Claudia Mazzetti, l’assessore delegata alla cultura.
Vittorio Arconti: uno sciopero per la libertà e per la pace
Affiancato da Michele Rusca e Angelo Protasoni della Mazziniana, Michele Mascella, di Anpi, ha ricordato a nome dei promotori la biografia di Arconti: comunista iscritto al partito nel 1921, fiero oppositore del fascismo, prima incarcerato e poi inviato al confino ad Ustica.
Nel gennaio 1944 Arconti organizzò, alla fabbrica Comerio Ercole di Busto dove lavorava, uno sciopero, per la libertà e per la pace, per la fine della guerra che si trascinava allora da tre anni e mezzo, con infiniti lutti, con le città bombardate di giorno e di notte dagli Alleati.
A quello sciopero i nazifascisti risposero deportando in Germania sette operai della commissione interna, quattro di loro morirono e tra loro c’era Arconti, classificato come irriducibile nemico del nazifascismo e per questo assassinato al castello di Hartheim.
«I ragazzi di oggi devono sapere Vittorio Arconti è una delle tante vittime di quanto accadde moltissimi anni fa, moltissimi per loro» ha continuato Mascella rivolgendosi agli studenti presenti (dei licei, del Falcone, del Gadda-Rosselli), coinvolti in questi mesi in diversi incontri sulla memoria, legati alle tre figure ricordate dalle pietre d’inciampo.
La famiglia Arconti, quattro fratelli contro il regime fascista
Un passaggio generazionale ricordato anche al momento della posa della pietra: «La pietra è la memoria che rimane di una lotta per la libertà» ha detto Nadia Arconti, figlia di uno dei fratelli di Vittorio. «Ci sono qui tutti i nipoti che portano il nome Arconti, ragazzi di vent’anni» .
L’intervento di monsignor Festa«Il sacrificio di Arconti rappresenta un gesto di eroismo e generosità, da cui trarre esempio» ha aggiunto monsignor Riccardo Festa, prevosto della città che ha voluto essere presente al momento della posa e che ha dato un messaggio forte: «A volte c’è la tentazione di affidarsi a scelte autoritarie, che provocano poi tragedie e morti. Per questo dobbiamo avere a cuore le istituzioni che permettono la convivenza civile attraverso la pazienza del dialogo democratico, anche tutte le istituzioni intermedie devono dialogare per creare le condizioni» per la pace.
Di fronte alla situazione di nuova guerra in Europa ha usato il concetto del «prevenire da lontano», di lavorare per non arrivare alla contrapposizione frontale e poi alle armi.
Da Lonate a Gallarate: una memoria dentro alla città
Alla posa erano presenti anche gli assessori Picchetti e Canziani, consiglieri comunali (Anna Zambon e Margherita Silvestrini), referenti delle scuole e del sindacato, una rappresentanza dei lavoratori della Comerio Ercole, l’assessore di Lonate Pozzolo Luca Perencin, perché la famiglia Arconti era originaria proprio del paese di Lonate.
«Vittorio e Aronne erano nati a Lonate, mentre i fratelli minori sono nati già qui a Gallarate» racconta ancora Nadia Arconti, di fronte al palazzo di via Mameli che ha sostituito – a inizio anni Cinquanta – la piccola casa di corte dove abitava allora la famiglia. È qui che è stata posata la pietra, un piccolo manufatto dentro la città, in cui “inciampare” nella vita quotidiana.
La famiglia ArcontiI quattro fratelli lottarono tutti contro il regime fascista e poi contro l’occupante nazista, Vittorio e Arconti in fabbrica già durante il Ventennio, Antonio e Fausto (più giovani) nelle file delle locali Brigate Garibaldi e sottraendosi alla guerra fascista.
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