Silvio e Lidia Borghi nominati “giusti tra le nazioni” alla memoria in salone Estense a Varese
La loro storia, a lungo rimasta sottotraccia, fu raccontata da Varesenews nel 2007. Originari di Mirandola, vissero l'ultima parte della loro vita a Varese
Una solenne cerimonia, che ha visto tra gli ospiti anche l’ambasciatore di Israele Dror Eydar ha salutato la proclamazione di “Giusti tra le nazioni” Di Lidia Caleffi e Silvio Borghi, due coniugi di Mirandola in provincia di Modena che hanno portato in salvo in Svizzera decine di Ebrei, e in particolare la famiglia Talvi.
Una storia che Varesenews raccontò, dopo decenni di silenzio, nel 2007, e che ha portato loro questo importante riconoscimento alla Memoria. I due coniugi, sopravvissuti alla guerra, hanno abitato a Varese per il resto della loro vita, morendo di vecchiaia ad Avigno.
Il riconoscimento , alla memoria, è stato consegnato ai suoi discendenti. Elisa Borghi e Umberto Broggi, figlia e genero dei due giusti, alla presenza dei famigliari dei salvati, la moglie Vinka Talvi e Shmuel Almagor Almoslino il figlio di Menachem Almoslino e Alice Talvi.
Proprio Shmuel Almagor Almoslino ha raccontato durante la cerimonia l’avventurosa storia della loro famiglia, partita da Belgrado all’inizio della guerra e, attraverso molte impegnative tappe – dalla Dalmazia All’Albania, dalla Calabria all’Emilia Romagna – e arrivata alla libertà in Svizzera proprio grazie ai Borghi.
Nel corso della cerimonia – che ha visto ospiti le principali autorità impegnate: dal sindaco al prefetto, dal questore ai rappresentanti delle forze dell’ordine, fino all’ambasciatore di Israele e i rappresentanti delle comunità ebraiche in Italia, ed è stata organizzata dalla fondazione Calogero Marrone, rappresentata dalla presidente Margherita Giromini – è stato letto anche un messaggio di Liliana Segre, che ha ricordato il coraggio dei coniugi.
La figlia e il genero dei due coniugi prendono dalle mani del Prefetto di Varese e dell’ambasciatore d’Israele il riconoscimentoGLI INTERVENTI DELLE AUTORITÀ
«Siamo un popolo che ricorda. La memoria, per noi popolo ebraico, è una questione essenziale, una parte profonda del segreto della nostra esistenza nella storia – ha sottolineato L’Ambasciatore d’Israele in Italia, Dror Eydar, nel corso del suo intervento – Del resto, che cosa saremmo senza memoria? Proprio perché ci siamo sempre ricordati di Gerusalemme negli ultimi duemila anni, siamo finalmente riusciti a ritornarvi nelle ultime generazioni, e a far rinascere lì il nostro stato indipendente”. Riferendosi ai Giusti fra le Nazioni ha precisato: “I nostri saggi che vissero nelle prime generazioni dopo la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, hanno tratto dal passo biblico della Creazione, nel libro della Genesi, un insegnamento morale universale: “Ecco perché Adamo, il primo uomo, fu creato da solo. Per insegnare che, chiunque distrugga una sola anima, è come se avesse distrutto un mondo intero. Mentre chiunque salvi una sola anima, è come se salvasse un mondo intero».
«Questo è un importante riconoscimento per rendere omaggio a chi ha messo a rischio la propria vita in un drammatico momento della nostra storia, nel pieno dell’odio e della furia nazifascista – ha ricordato il sindaco di Varese Davide Galimberti – Ricordare le azioni eroiche di chi ha saputo scegliere la parte giusta da cui stare, mostrando un senso di umanità profondo verso il prossimo, è il modo migliore per dare forza a una lezione che oggi più che mai è urgente ridabire, con la situazione internazionale caratterizzata dalla guerra in Ucraina, per riportare al più presto la pace in Europa».
Alla cerimonia hanno preso parte anche il presidente della Comunità Ebraica di Milano, Walker Meghnagi, il Vice Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), Milo Hasbani, il sindaco di Mendrisio (Svizzera), Samuele Cavadini e l’assessora del Comune di di Mirandola Antonella Canossa.
LA DIRETTA DELLA CERIMONIA
LA STORIA DEL SALVATAGGIO DA PARTE DI LIDIA CALEFFI E SILVIO BORGHI
La famiglia allargata Talvi, la coppia composta da Ilija e Rebecca Rifka, i loro figli Rafael, Leone e la loro figlia Alisa Alice vivevano a Belgrado. Quando i tedeschi entrarono a Belgrado nel 1941, la famiglia fuggì in Albania dove restarono nel campo di Kavaja, gestito dagli italiani. Nel 1942 gli italiani trasferirono gli ebrei in Italia, nel campo di concentramento di Ferramonti in Calabria. Le condizioni erano abbastanza confortevoli ma la famiglia cercò un modo per uscire da lì. Ciò era possibile solamente se qualcuno avesse firmato una cauzione. A Modena la famiglia aveva una zia che provvide loro la cauzione e, pochi mesi dopo, all’inizio del 1943, la famiglia lasciò il campo e si recò presso il Comune di Mirandola, vicino Modena, acquisendo lo status di internati civici in “confine libero”. Ogni giorno dovevano recarsi in Questura e rivevano una piccola somma di denaro. C’erano altri ebrei nel posto. La famiglia Talvi fece così amicizia con la famiglia Almoslino, anche lei di Belgrado, e la figlia Alisa sposò Max Almoslino.
Dopo la resa dell’Italia, nel Settembre 1943, i tedeschi entrarono nella regione e gli ebrei iniziarono a cercare rifugio e modi per raggiungere la Svizzera. La numerosa famiglia Talvi si sciolse: la coppia Ilija, Rebecca e la figlia Alisa, rimasta incinta, trovarono rifugio, grazie al parroco Dante Sala (Giusto fra le Nazioni) nel villaggio di San Martino Spino. I figli Rafael e Leon vennero ospitati da Silvio e Livia Borghi nel villaggio di Mortizzuolo, a cinque chilometri da Mirandola.
Raffaele Talvi, in una sua sua testimonianza, raccontò: “Borghi ci ha nascosto nella sua casa, nella stanza si uno dei bambini. A seguito dei controlli dei tedeschi, la situazione diventò pericolosa”. Così Borghi decise che sarebbero dovuti andare in Svizzera. Borghi fornì loro dei documenti falsi, li vestì con abiti meno modesti “in modo che non semrassero rifugiati” ed, insieme a loro, si recò prima a Milano e, da lì, raggiunsero Cernobbio. A Cernobbio, la famiglia rimase a dormire presso l’abitazione di alcuni conoscenti di Borghi, Dino e Allegra Riva. Dovevano essere assolutamente silenziosi perché la pattuglia non li rilevasse. Nel momento ritenuto più opportuno, Borghi accompagnò i due ragazzi al confine con la Svizzera. I due giovani varcarono il confine grazie ad una fessura nella recinzione. Un poliziotto svizzero li trovò e li condusse in un campo profughi.
Borghi tornò a casa e, dopo un po’ di tempo, fece lo stesso percorso con la coppia Talvi e Almoslino. Alisa Alsmoslino raccontò nella sua testimonianza che ci furono problemi al confine: non era consentito a tutti entrare in Svizzera, solo a lei in quanto donna incinta. Lei si rifiutò di lasciare la famiglia e suo marito. Alla fine fu consentito a tutti di passare e partorì lì suo figlio.
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