Kseniya, la giovane ricercatrice ucraina accolta all’Insubria: “Sognavo di viaggiare non di fuggire”
Kseniya-Oksana Zhukrovska è una dottoranda ucraina che da inizio maggio è ospitata nei laboratori di Biotecnologie microbiche. È scappata da Leopoli dove sono rimasti il padre e il fidanzato
«Quella notte non potrò mai dimenticala. È stata la peggiore della mia vita». Ha gli occhi tristi Kseniya, la giovane ricercatrice ucraina accolta dal laboratorio di Biotecnologie microbiche guidato dalla professoressa Flavia Marinelli all’Università dell’Insubria.« Stavo dormento. Mio padre entra in camera e con voce molto pacata dice a me e a mia sorella: “ È iniziata la guerra”. Quel tono così calmo, così poco naturale in mio padre che è una persona molto emotiva, rendeva tutta la drammaticità del momento».
La notte del 24 febbraio Kseniya non chiude più occhio. Accende il cellulare e naviga sui social: immagini di esplosioni in tutto il paese le rendono crudelmente la nuova realtà in cui il suo paese è piombato: « Mio padre era preoccupato da tempo ma noi lo prendevamo in giro: com’è possibile oggi, nel Ventunesimo secolo, una guerra in Europa? Quanto ci sbagliavamo».
All’improvviso per Kseniya e la sua famiglia si apre uno scenario totalmente nuovo: « Mettiamo in valigia lo stretto necessario per andarcene nella nostra casa in montagna, in una zona sicura perchè lontana dai centri nevralgici, dalle postazioni militari. Ma prima di lasciare casa nostra a Leopoli dovevamo aspettare mia madre che era in viaggio di lavoro a Kherson ( oggi occupata dai russi). Ci ha messo un giorno intero a rientrare, per evitare il confluito».
La ragazza, con la sorella più piccola e i genitori, raggiunge la casa in montagna. Arriva anche il fidanzato di Kseniya mentre i nonni non ne vogliono sapere di lasciare la propria casa : « Non se ne andranno mai. Accetteranno anche di venir depredati dai russi, ma non se ne andranno dalla loro patria».
Qualche giorno dopo, nella tranquillità della località in montagna, Kseniya e il fidanzato decidono di rientrare a Leopoli: « Eravamo lì a fare nulla mentre tutti i nostri amici si davano da fare per aiutare. Anche noi volevamo dare il nostro contributo e sostenere la difesa del paese». Tornano a casa e si mettono a disposizione: realizzano le reti mimetiche per i mezzi, distribuiscono medicinali : « Ma era davvero caotico. Eravamo in tanti e tutti volevamo fare la loro parte. Appena c’era una richiesta di aiuto, ci presentavamo, ma spesso arrivavamo tardi, i lavori erano già assegnati. Trascorrevo le giornate ad aspettare, guardare i social, ascoltare le notizie. Mi sentivo inutile. E poi c’era il mio lavoro di ricerca, i materiali che stavo studiando. E poi le sirene che suonavano a ogni ora del giorno, e gli scoppi….».
Così la giovane decide di chiedere aiuto all’Università dell’Insubria: « Il mio direttore di ricerca era in contatto con l’Università dell’Insubria. Stavamo facendo un lavoro su nuovi antibiotici per far fronte al problema della crescente resistenza dei batteri patogeni causa di gravi infezioni ospedaliere. Ho chiesto alla professoressa Marinelli ospitalità. E lei mi ha accolto subito senza esitazione. Sono grata a lei e a quest’ateneo perchè mi permettono di continuare il mio lavoro di ricercatrice. Mi è stato assegnato un alloggio nel campus nonostante sia molto difficile trovarne uno libero. È una stanza luminosa, la struttura è in mezzo al verde, silenziosa. Una vera oasi di pace».
Con l’invito a raggiungere Varese, Kseniya, al secondo anno di dottorato nel Department of Genetics and biotechnology della Ivan Franko National University di Lviv, prepara la partenza, i documenti, i permessi ma anche i campioni su cui stava facendo ricerca: « Si tratta di elementi non pericolosi per cui li ho impacchettati e li ho spediti».
Oggi, la vita di Kseniya oggi si divide tra il lavoro di laboratorio e la comunità ucraina: « Ho scoperto anche un negozio ucraino a Varese. È una città accogliente e così verde. In Ucraina iniziava ora la natura a risvegliarsi mentre qui è quasi estate…. Qui, sono così gentili con me, premurosi. Cercano di farmi sentire a casa. Io sto davvero bene a Varese ma non dimentico chi è ancora in Ucraina, come mio padre e il mio fidanzato che non possono uscire dal paese. Mia madre con mia sorella, invece, è in Irlanda, ospite di mia zia. Spero di poterle vedere in estate».
Il suo pensiero ritorna spesso a Leopoli. Sul cellulare ha scaricato l’app per gli allarmi degli attacchi: « Ieri Leopoli è stata colpita pesantemente. Missili ed esplosioni. Ieri notte ero così spaventata dalle notizie che arrivavano che ho chiamato il mio fidanzato. Lui stava dormendo, non si era nemmeno accorto…. Vivere la guerra da lontano, con il pensiero dei tuoi cari sotto le bombe è snervante. Il ricordo degli allarmi e delle esplosioni sono stampati nella mia testa: quando le ambulanze della Croce Rossa partono dalla sede qui vicino utilizzando la sirena io ho sempre un tuffo al cuore. Devo concentrarmi per capire che sono lontana dalla guerra e che non devo andarmi a nascondere».
Kseniya non riesce proprio a immaginare un futuro: « Vivo giorno per giorno. Con la speranza che sia l’ultimo giorno di guerra. Tutti i miei progetti sono finiti in una notte. Come ogni ricercatrice volevo andare all’estero, conoscere altri ricercatori, lavorare con attrezzature ed equipe diverse per imparare. Oggi sono qui e sono contenta di quello che sto facendo. Ma avrei voluto essere io a scegliere di andarmene, il momento, il progetto, l’occasione. Invece sono dovuta fuggire sotto le bombe. Chissà se potrò tornare in Ucraina, nella mia terra libera. Chissà se potrò rivedere mio padre e il mio fidanzato. Perchè ci hanno fatto questo?».
La giovane ricercatrice prova rabbia verso Putin, verso la Russia e verso i russi: « Storicamente, la Russia ha sempre provato a cancellare l’Ucraina. Non è solo Putin: chi uccide la popolazione, chi sevizia le donne non è Putin…. Penso che dovremo erigere un muro per fermarli perchè non si accontenteranno dell’Ucraina».
La scorsa settimana ha seguito l’Eurovision ed è felice per la vittoria della Kalush Orchestra : « La parte più emozionante è stata quando hanno lanciato l’appello per Mariupol. Per tutta la settimana, sui social ucraini si chiedeva al gruppo di lanciare un appello per Mariupol. Si era scatenato un dibattito perchè sapevamo che quella frase avrebbe causato la squalifica. Quindi, eravamo divisi tra chi chiedeva l’appello e chi preferiva che vincessero per l’Ucraina. Quando Oleh ha pronunciato quella frase per Mariupol è stato così emozionante, da pelle d’oca».
La ricercatrice rientra nel suo laboratorio nei laboratori di via Dunant: « Quello che voglio è che tutto questo finisca ora. È difficile credere che stia avvenendo, che ci stiano facendo così tanto male. Non posso credere che oggi, in Europa, ci sia qualcuno che preferisca distruggere piuttosto che lavorare per migliorare la vita di tutti».
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