Tenera è la notte sulle spiagge di Luino nel nuovo disco di Ivan Stray
“Malafortuna” è il primo disco del cantautore di Luino, un’antologia di canzoni sonnambule ricche di arpeggi elettronici e dolori lacustri
Ci sono molti modi per un ascoltare un disco. Ci sono dischi fatti per essere ascoltati in cuffia, dischi che danno il meglio se ascoltati ai piedi di un palco, altri perfetti per essere cantati in macchina “on the road”, oppure a squarciagola insieme ai propri amici, altri ancora da far suonare sul giradischi della camer(ett)a con le luci spente. “Malafortuna”, l’album d’esordio di Ivan Stray è un album che va ascoltato di notte, nelle ore più intime e solitarie. (Almeno questo è il suggerimento di chi scrive).
Sette canzoni eterogenee, i cui arpeggi elettronici e i ritornelli itpop catturano l’ascoltatore e lo trasportano in una dimensione sonnambula “sotto il cielo luccicante” dell’Alto Verbano, tra le spiagge lacustri di Luino, città da dove proviene Ivan Stray, al secolo Ivan Cogodi. Il nome d’arte già dice molto del cantautore classe 1984, “stray” in inglese infatti significa randagio, come i gatti solitari, come i mitici Stray Cats.
«Ululo alla luna piena in una calda notte d’estate» cantava il blues della band newyorkese. Ed è anche quello che fa, a modo suo, a distanza di quarant’anni, anche Ivan Stray nel suo Malafortuna: un titolo esplicito. «Malafortuna è un manifesto di argomenti comuni sparato in faccia tra poesia e musica elettronica – così spiega Ivan Stray – Lo si può definire un concept album che ha come collagene tra i brani l’essere diverso, l’essere non accettato, la sofferenza delle ingiustizie e il vivere sempre ai margini della società, gli abusi e le dipendenze».
Tematiche inevitabilmente centrali nella canzone che inaugura i 25 minuti del LP e che dà il nome al disco. La title-track, infatti, ricorda le sognanti atmosfere di SleepWalk, arricchite di morbidi sintetizzatori; ma al posto della chitarra hawaiana di Santo e Jonny a far da protagonista è la voce di Ivan. È una voce spezzata la sua, come quella dei molti cantautori indie, una linea melodica dal sapore di Calcutta, il testo invece si avvicina di più alla quasi omonima Sfortuna dei Cani: Ascoltare canzoni, Luigi Tenco nel cuore // Musica brasiliana francese e romana e non chiedo di più. A volte “i soldi per mangiare, i dischi e i videogiochi” sono la migliore medicina, il miele più dolce, per curare un animo malato e pesante. E basta.
Poche righe e pochi minuti per capire che le influenze di Ivan Stray sono molteplici, dal rock anglofono al cantautorato, passando naturalmente per l’elettronica, che nel disco fa la voce grossa. Un insieme di generi sapientemente mescolato anche grazie alla cura del produttore esecutivo Marco Ulcigrai, chitarrista luinese de Il Triangolo e de I Ministri, che ha aiutato a dare vita a Malafortuna, uscito per Vaboo Entertainemet ieri, venerdì 20 maggio.
Influenze e “riferimenti” che spaziano ulteriormente a partire dalle prime battute di Le Bombe, come nell’attacco del sintetizzatore e dalla voce in vocoder alla Kraftwerk, i ritmi sono affidati al tappetto “kick and snare”.
La paura non si sente, non ha voce, non ha colore // Sono le bombe che fanno rumore – Le Bombe
L’immagine delle bombe sarà ricorrente anche in altre canzoni all’interno del disco, metafora di una guerra che si articola su due livelli: interiore (Sono le bombe che mi bloccano canta Ivan in Atomica) ed esteriore (Senti i nostri cuori tremano // Sono le bombe a farci male – Questa Notte).
«Le Bombe è un testo impegnato a boicottare le guerre e le violenze – spiega Ivan Stray -. Parla anche di guerre interiori e disagi adolescenziali. Le Bombe è la sensazione interiore che in molti di noi non riescono a soffocare».
Una sensazione di ansia, una gravità opprimente, che cerca di essere scacciata in Questa Notte e Coop, il cuore pulsante del disco. Una notte tenera, per allontanare vie le più minacciose tenebre col le calde luci al neon, luci sintetiche, artificiali (e quindi per definizione finte), mentre le strade fuori dal supermercato sono deserte o animate da altre anime randagie come l’empatico Mellon Collie, anima salva e affine a Ivan che fischietta «And the embers never fade in your city by the lake, the place where you were born». Ma queste immagini sono illusioni incorporee create dai sogni. Molto più frequentemente, e molto meno poeticamente, lungo le strade luinesi si trovano solo rifiuti, mozziconi di sigarette e ammaccate lattine di birre da altri spettri che inquinano i marciapiedi vicino a quello che Ivan definisce «Colosso di cemento, che chissà quante storie può contenere».
Certo che lo so // abbandonarsi per un po’ // tra i carrelli della Coop // e solo un sogno una mia illusione – Coop
Dolci nelle note, amare nelle parole, le due “lullaby elettroniche”, Un Cuore e Atomica. In particolare, quest’ultima in riprende le già citate immagini delle bombe e delle luci: «Alcune luci non si spengono // Nemmeno con il buio più profondo // Restando accese ci tormentano // Fino a quando torna il giorno». Quanto è dolce (e quanto è altrettanto ingannevole) farsi abbagliare dalle sirene? Figure mitologiche che nell’Età dell’Ansia – in cui la televisione sempre accesa impedisce agli insonni di dormire, mentre le pillole sono inefficaci – prendono sembianze olografiche dell’America e del suo sogno di plastica, il cui canto diventa per sinestesia anche un abbagliante al tempo stesso effimero fenomeno ottico.
Occhi sgranati dalle pillole // sguardi corrosi dalla polvere // bocche bagnate dall’America // atomica e succo di plastica…
Argomenti fin troppo attuali, quelli cantate di Ivan Stray. Tematiche che probabilmente – ma solo il tempo saprà dirlo – lasceranno una profonda cicatrice sull’individuo quando ci si ricorderà degli anni ’20 del nuovo millennio.
A chiudere il sipario sul disco è infine Eroi. Quasi come un “divertissement”, il brano si apre in backwards, ovvero al riavvolto al rovescio. Il cambio di prospettiva non avviene soltanto dal punto di vista musicale, bensì concettuale. Chi sono gli eroi? Persone più simili a quelle cantatati da John Lennon in Working Class Hero che i mutanti in calzamaglia della Marvel.
Rimanevo in silenzio e gridavo: “I nostri eroi con i sogni negli occhi”
«Ho sempre pensato che siamo sempre tutti a sbavare dietro ai supereroi ma gli eroi non sono reali – spiega Ivan – Reale è il sorriso della mia compagna quando mi vede rientrare a casa dal lavoro, reale sono le persone che combattono quotidianamente con le proprie vite, reale sono i medici e gli infermieri, i muratori, i baristi. Persone normali che non sanno di essere ogni giorno degli eroi. Questo brano è dedicato a loro».
E se nelle note di Rino Gaetano il cielo sopra di loro era sempre più blu, nel disco di Ivan Stray la notte è almeno un po’ più tenera e comprensiva.
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