Le indagini sulla morte di Davide Paitoni

La procura di Milano apre un fascicolo, sequestrata la cella e gli effetti personali. Trovato un biglietto. Il difensore: “Non ce l’ha fatta”

procura tribunale milano

Un cappio, un biglietto, una cella posta sotto sequestro, e la verifica di eventuali responsabilità per la morte di un detenuto difficile. Davide Paitoni era restio ai contatti e per mesi e mesi ha avuto grandi difficoltà ad aprirsi anche col suo legale, tanto che nell’immediatezza di quei fatti gravissimi che scomposero i pensieri ben oltre i confini del Varesotto, il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Battarino già il 4 gennaio raccomandò ai vertici della casa circondariale di Varese di approntare le misure per prevenire possibili gesti autolesionistici del detenuto.

Oggi si scopre che invece, ultimamente, almeno i contatti col legale Stefano Bruno erano diventati più fluidi nonostante la difficoltà agli incontri di persona, specialmente nell’ultimo periodo per via della nuova impennata di contagi che aveva messo di nuovo in isolamento Paitoni.

Dunque un’ultima telefonata, per nulla premonitoria, fra difensore e assistito c’è stata solo lunedì: colloquio franco nel quale a Paitoni vennero date le coordinate di procedura sul processo principale per omicidio, ancora in fase preliminare e per il quale il magistrato aveva cassato l’ipotesi di una perizia psichiatrica: l’uomo era visibilmente lucido nel momento dell’omicidio del figlio, come del resto traspare nelle parole scelte dallo stesso gip nella dettagliata e agghiacciante ricostruzione contenuta nell’ordinanza che conferma la custodia cautelare in carcere.

Prima quindi Paitoni viene messo ai Miogni, poi a San Vittore, carcere dove è avvenuto il decesso. Nell’ultima chiamata fatta lunedì con l’avocato dunque non una parola sulle intenzioni. «Non ce l’ha fatta», è stato il commento del difensore che oggi avrebbe dovuto assistere Paitoni in camera di consiglio a Varese per l’udienza preliminare legata al fatto di sangue che ha preceduto di qualche settimana l’orrore di Morazzone, vale a dire il tentato omicidio ai danni di un collega raggiunto da un fendente di taglierino industriale nel parcheggio del cimitero di Azzate, dopo un diverbio.

Per quel fatto Paitoni si trovava ai domiciliari nella casa paterna di via Cuffia a Morazzone dove nel pomeriggio del primo dell’anno l’uomo uccise il figlio per nasconderlo poi nell’armadio, tentare di uccidere anche l’ex moglie nella casa della vicina Gazzada Schianno per poi venire catturato a Viggiù dai carabinieri.

Del caso del suicidio nel carcere milanese è stato informato il pm di turno di Milano Stefano Ammendola, che nell’ambito di un fascicolo, la cui apertura è scontata in questi casi, ha disposto i primi accertamenti. Verrà eseguita l’autopsia.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 13 Luglio 2022
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Commenti

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  1. carlo_colombo
    Scritto da carlo_colombo

    È il momento di avere pietà per questo padre che ha compiuto un crimine efferato e si è autocondannato alla pena capitale. Purtroppo sul Corriere della sera i commenti dei lettori all’articolo mi sono sembrati durissimi quasi tutti a favore del gesto estremo. Ora è il momento di pensare alla madre che dovrà elaborare per molto tempo la perdita del figlio.

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