I sindaci che vogliono andare in Parlamento devono dimettersi entro venerdì. Ultime manovre per le liste
Per potersi candidare alla Camera o al Senato i sindaci dei Comuni sopra i 20mila abitanti devono lasciare il municipio entro venerdì. Si è parlato di Galimberti da Varese e Antonelli da Busto, ma l'ipotesi più solida è quella di Cassani da Gallarate alle liste della Lega per Roma
Chi è sindaco oggi e vuole andare a Roma, in Parlamento, deve decidere questa settimana.
La candidatura alla carica di sindaco – nei Comuni sopra i 20mila abitanti – è infatti incompatibile con la candidatura a deputato o a senatore e quindi chi volesse “andare a Roma” deve dimettersi. E lo deve fare questa settimana: potenzialmente riguarda diversi sindaci esponenti di partito, ma nei fatti l’attenzione si concentra soprattutto sui primi cittadini delle maggiori città, quelli che potenzialmente potrebbero avere più chance: Andrea Cassani a Gallarate, Davide Galimberti a Varese ed Emanuele Antonelli a Busto Arsizio.
La norma che stabilisce l’ineleggibilità dei sindaci di Comuni con popolazione superiore ai 20mila abitanti prevede che il sindaco debba dare le dimissioni 180 giorni prima della scadenza naturale della legislatura (che sarebbe stato in autunno). In caso di elezioni anticipate per “oltre centoventi giorni” prima della scadenza naturale, le cause di ineleggibilità decadono “se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di scioglimento nella Gazzetta Ufficiale”. E siccome il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sciolto le Camere ufficialmente venerdì scorso, i sindaci che vogliano fare “un passo indietro” lo devono appunto fare entro questo venerdì, 29 luglio.
I rumors, fin qui, hanno sottolineato la posizione dei sindaci delle tre maggiori città: perché governano i Comuni maggiori, perché sono esponenti di partito ormai di lungo corso: Cassani da sempre, Galimberti dagli anni Novanta partendo dalla sinistra giovanile, Antonelli da meno tempo, da un lustro.
Tutti e tre sono appena stati rieletti sindaci, nell’autunno del 2021, e il passo indietro dalla carica comunale non è certo passo che si fa a cuore leggero, neanche per un posto nell’assemblea che rappresenta il popolo sovrano.
Per quanto riguarda Davide Galimberti, non sembra essere probabile la prospettiva di uno suo disimpegno da Varese. E questo nonostante nel Pd ci sia un certo spazio: attualmente l’unica candidatura certa è quella del senatore Alessandro Alfieri, mentre per quanto riguarda la Camera rimane “vacante” il posto che fino ad oggi era di Maria Chiara Gadda (che è passata a Italia Viva nel 2019, quando il Pd si è alleato con il Movimento 5 Stelle).
In questa estate politica inattesa, il Pd ha tenuto il direttivo provinciale lunedì 25, mentre nella mattina del 26 si è tenuto il primo incontro a Roma. Per il resto nelle file del Pd non sembrano esserci altri sindaci di Comuni sopra i 20mila abitanti potenzialmente interessati (Augusto Airoldi da Saronno è stato rieletto due anni fa e ha più un profilo locale).
Emanuele Antonelli, sindaco di Busto Arsizio, è esponente di Fratelli d’Italia e non ha una posizione di grande vantaggio: non ha una storia di lungo corso dentro al partito, che pure può ambire ad un buon risultato elettorale (sempre immaginando che i sondaggi riflettano davvero i voti reali). In pole position per le Camere c’è Andrea Pellicini, coordinatore provinciale, figlio di senatore, a stretto contatto con i vertici regionali del partito. È possibile che FdI rinunci all’unico sindaco “di peso”?
Ignazio La Russa a primavera aveva espresso una linea chiara: «Nei suoi confronti non c’è uno “stop”, ma un invito a fare il sindaco».
Certo, era primavera, FdI aveva il vento in poppa come ora ma la prospettiva delle elezioni era ancora lontana. Se il partito dovesse avere davvero un buon risultato, i nomi per Roma potrebbero essere più d’uno: tra i “big” provinciali c’è chi si è già tirato fuori dalla questione, come Giuseppe De Bernardi Martignoni, che punterebbe più volentieri sulle regionali del 2023. Francesca Caruso – già vicesindaco a Gallarate e assessore alla sicurezza – potrebbe avere spazio, è ben introdotta a Milano ed è originaria di Varese, quindi con un bacino più ampio della sola città dei due galli.
Da Gallarate a Roma? Cassani cerca spazio nelle candidature della Lega
Alla fine, chi tra i sindaci sembra giocarsela di più è Andrea Cassani, il primo cittadino di Gallarate che è uomo di partito e che potrebbe fare uno scatto in avanti, oltre il livello amministrativo.
Lui gradirebbe, ha rapporti diretti con Matteo Salvini e si sta muovendo.
Gli spazi sono risicati, va detto, nonostante qualche passo indietro. Leonardo Tarantino non sembra intenzionato a ricandidarsi, Dario Galli sarebbe in lista, ma non punterebbe ai “piani alti”. La Lega punterebbe a riconfermare l’irrinunciabile Giancarlo Giorgetti, il senatore Stefano Candiani (che ha avuto anche l’onore dell’intervento nel dibattito della sfiducia a Draghi, a fine di legislatura) e Matteo Bianchi, eletto nel 2018 nel collegio uninominale di Gallarate. Cassani dovrebbe trovare il modo per ottenere un buon posto, di fronte alla rinuncia alla carica di sindaco.
Per quanto riguarda la sua maggioranza, Forza Italia ha detto esplicitamente che non mette i bastoni tra le ruote, mentre Fratelli d’Italia è più tiepida, perché considera prioritario l’impegno territoriale, per un sindaco eletto nel 2021 (al pari di Antonelli). A livello provinciale il commissario Stefano Gualandris ha detto che «chi ha un compito tendenzialmente lo porta a termine», anche se «ci possono essere delle elezioni, come accaduto in passato, ma decidere per una deroga è il federale».
E il federale alla fine sarebbe Matteo Salvini, che ha comunque il suo potere solido dentro al partito. Le deroghe, di per sé, hanno esempio recenti e validissimi: nel 2018 si erano dimessi dalla carica di sindaco Leonardo Tarantino e Dario Galli, dopo essere stati eletti alla Camera (sia Samarate che Tradate erano sotto i 20mila abitanti, quindi non dovevano dimettersi prima). Tarantino era già ben oltre la metà del mandato, Galli però era stato eletto solo un anno prima. Esattamente come Cassani.
A livello provinciale, in quell’anno la rinuncia al ruolo di sindaco per andare a Roma non ha provocato scossoni a livello locale: sia a Samarate che a Tradate la Lega – dopo l’addio di Tarantino e Galli – ha infatti espresso comunque il nuovo sindaco, eletto dopo pochi mesi di amministrazione con facente funzioni.
Cosa succede in un Comune se il sindaco si dimette
A proposito: come funzionerebbero le cose in Comune se il sindaco si dimettesse?
Se il sindaco lascia la carica per andare a Roma, l’amministrazione rimane in carica fino al successivo turno elettorale, che sarebbe nel 2023, insieme alle regionali. Il Comune sarebbe rappresentato e guidato dal vicesindaco, che fa le funzioni del sindaco.
Nel caso di Gallarate – il Comune dove l’ipotesi è più solida – nel caso di un passo indietro di Cassani la rappresentanza dell’ente passerebbe – allo stato attuale – al vicesindaco Rocco Longobardi. Ma è possibile che ci sia anche un rimpasto, con rassegnazione della delega, per far sì che la guida del Comune resti alla Lega (e una ipotesi è che la carica vada all’assessore al bilancio Corrado Canziani).
A Gallarate c’è un precedente di sindaco che rinunciò alla carica per incompatibilità: è Nicola Mucci, che sul finire del 2010 accettò un incarico da dirigente all’allora Asl di Sondrio, lasciando il Comune per cinque mesi al suo vice Massimo Bossi (entrambi erano del PdL).
L’amministrazione uscente del PdL allora perse poi le elezioni, ma in un contesto particolare, sfidata da un lato dalla Lega, dall’altra dal centrosinistra, entrambi intenzionati a rompere il governo monocolore del PdL. A distanza di dieci anni il contesto è molto diverso e il centrodestra potrebbe anche correre il rischio delle elezioni anticipate, vista l’ampiezza della vittoria conseguita nel 2021. Anche se qualcuno a Gallarate invita comunque a non sottovalutare le elezioni anticipatissime.
Una crisi inattesa, una fase elettorale inattesa
Innescata dal Movimento 5 Stelle e finalizzata da Lega e Forza Italia, la crisi del governo Draghi è stata piuttosto inattesa. E ha sorpreso anche i partiti, non a Roma, ma sui territori, con coordinatori provinciali in vacanza, congressi a metà strada. Una situazione d’incertezza che lascia margini di manovra anche inattesi, possibili colpi di mano. Molto resta da decidere. Per esempio: si parla quasi solo di candidati uomini, mentre le liste del proporzionale prevedono anche la presenza paritetica di donne, di cui fin qui si son visti pochi nomi.
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