Una lunga scia di morte e dolore nel Varesotto: il 2022 verrà ricordato come l’anno degli omicidi
Vittime gli indifesi, tanti episodi da gennaio fino all'omicidio/suicidio al confine con la Svizzera, nella maggior parte dei casi maturati in un contesto familiare
Il “mondo di sotto“ trova le sue regole nella violenza. Quello “di sopra“ pure, ma è il movente che cambia e si serve di una scintilla legata a follia e disperazione. Si uccide come regola in un caso, o alla fine di qualcosa nell’altro. Ma, tralasciato il primo quadro, coi morti legati al mondo dello spaccio nei boschi e segnati da regolamenti di conti più o meno chiari, la scia di sangue che ha attraversato la provincia di Varese dall’inizio dell’anno ha assunto caratteri imponenti e difficili da liquidare come acqua passata, anche alla luce del fatto che nella maggior parte dei casi sono maturati in un contesto familiare.
Un anno che si è aperto con l’uccisione del piccolo Daniele e il tentativo di omicidio di sua madre: l’assassinio di Morazzone è stato battezzato dalle cronache, una tragedia famigliare con un uomo agli arresti domiciliari (poi morto suicida in carcere) cui era concesso di vedere il figlio piccolo in un contesto sfociato – hanno spiegato gli inquirenti – in una condizione di imprevedibilità. Siamo a gennaio e incontriamo una parola, (imprevedibile, imprevedibilità) che si ripete nelle stragi successive.
Nessun segno nel «ced interforze» – lo schedario in uso alle forze di polizia dove figurano persino l’ora e la data in cui vieni fermato per esempio in auto ai posti di controllo – per il padre assassino e omicida di Mesenzana. Siamo a marzo e quella mattina alle 8 le urla di una donna svegliano una strada secondaria ancora quasi addormentata se non fosse che siamo ancora nel piano della scuola: la tragedia al primo piano di un complesso residenziale; in casa Giada e Alessio, fratello e sorella senza vita, uccisi dal padre, Andrea Rossin.
A marzo si scopre dell’omicidio di un’altra varesina: la giovane Carol Maltesi di Sesto Calende assassinata da un conoscente a Rescaldina perché l’uomo non voleva che la ventiseienne si allontanasse da lui, un omicidio avvenuto attorno al 10 di gennaio e venuto a galla solo dopo il riconoscimento del corpo della ragazza abbandonato in Valcamonica dopo essere stato fatto a pezzi.
Ancora in casa, una quarantina di giorni dopo, sempre «imprevedibile» quanto accaduto la notte del 4 maggio a Samarate: due morti, madre e figlia, un terzo ferito gravissimo, figlio di Alessandro Maja, 57 anni, designer, casa in quartiere residenziale, professionista affermato trovato a cavalcioni di una finestra ancora sporco di sangue: «Non doveva succedere», le sue prime parole pronunciate davanti ai carabinieri. Forse «non poteva succedere», secondo chi guardava da lontano lo scorrere delle vite di quella famiglia come tante, gli alti e i bassi, i figli che crescono, e domani chissà.
E siamo a luglio, dove in pochi giorni abbiamo altre quattro vite che vengono spente: venerdì scorso, 22 luglio la povera Carmela Fabozzi pensionata di 73 anni che stava di casa a Malnate viene trovata nel suo appartamento dal figlio col capo sfondato; solo ieri, lunedì 25 luglio, altri tre morti legati al dramma della gelosia: Valentina di Mauro, la ragazza originaria di Varese uccisa a coltellate dal compagno nel Comasco, e la strage del confine, fra Cantello e Stabio dove Daniele Morello, 47 anni imprenditore è stato freddato sulla strada della Valsorda appena fuori dalla sua auto con un colpo di pistola alla gola, stessa arma impiegata dal suo assassino, Salvatore Stefano Solazzo, operaio di 51 anni. Subito dopo l’uomo entra in Svizzera, spara alla ex di 45 anni verso la quale nutriva incontenibile gelosia, per poi rivolgere l’arma contro se stesso e premere il grilletto.
A morire i più deboli, presi senza difese.
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