Woldetensae: “Ero una scommessa che nessuno voleva giocare. A Varese sono sereno”
Il 24enne biancorosso ricorda: «Scartato da diverse squadre di Serie A, ma non conoscevano il mio modo di giocare. Grato alla Openjobmetis. La palla rubata a Doncic? Non era il mio uomo ma...»
La stagione iniziata in A2, il passaggio a Varese, le partite che lo hanno messo in mostra, la maglia azzurra, la palla rubata a Luka Doncic con successivo canestro in contropiede. L’ultimo anno di Tomas Woldetensae è stato un susseguirsi di eventi nei quali, molto spesso, il ragazzo di Bologna – 24 anni – è stato capace di salire di livello sul parquet e di prendersi soddisfazioni.
Lo abbiamo incontrato alla Enerxenia Arena dove, insieme a Giancarlo Ferrero, è l’unico senior ad allenarsi in vista della prossima stagione che disputerà nuovamente con la maglia della Openjobmetis. Converse “estive” ai piedi (con motivi floreali), maglietta rossa, Wolde parla con la consueta calma in attesa di iniziare una seduta di lavoro concordata con il club.
Tomas, la sua parabola vista da fuori sembra un “manifesto” del nuovo corso di Varese. Giovane, esperienza internazionale, preso dalla A2 con l’idea di una crescita da costruire sul campo di gioco. Si sente descritto in questo schema?
«Non so e non posso dire io se sono un giocatore che incarna il nuovo corso della società. Sono definizioni che lascio al vostro mestiere. Io faccio quello che mi è richiesto, ma di certo questo è un posto dove c’è spazio per giocare e migliorare. Varese mi ha dato questa possibilità, ne sono grato e provo a sfruttarla».
L’anno prossimo arriverà un coach americano, Matt Brase. Lo ha conosciuto, vista la sua esperienza negli USA? O ha avuto referenze su di lui?
«Sinceramente no, ma è un po’ colpa mia, nel senso che tendo a non seguire troppo la pallacanestro al di fuori della mia attività personale. Preferisco giocare».
Intanto, anche grazie alle buone prestazioni varesine, è arrivata la chiamata della Nazionale. Come si è trovato in azzurro, con Pozzecco?
«Per me era la seconda volta dopo una “finestra” a cui avevo partecipato l’estate scorsa e stavolta mi sono sentito molto più a mio agio. Dodici mesi fa ero il ragazzino poco conosciuto e arrivato dalla NCAA, ora ho vissuto il raduno con maggiore serenità anche grazie al lavoro del Poz e del suo staff. È stata un’esperienza più piacevole».
In partita, con la Slovenia, è arrivata poi la ormai famosa palla rubata a Doncic (vedi sopra) con canestro in contropiede. Un’emozione particolare, oppure quando si è in campo non si guarda in faccia a chi si ha di fronte?
«Ne ho parlato ieri in un seminario con Giancarlo. Io credo che le emozioni si vivano prima e dopo la partita, non durante. Quando sei in campo l’agonismo prende il sopravvento e tu pensi a giocare per come sai e per quello che devi fare».
Beh, allora ci racconti il “dopo” di quel momento
«In effetti, a pensarci bene, anche sul “dopo” ho un po’ di annebbiamento. L’unica cosa di quell’azione che ricordo in modo distinto è che non dovevo essere io in marcatura su Doncic, ma la regola era di fermare la palla prima di tutto. Mi sono messo davanti a lui e quando ho visto l’occasione gliel’ho rubata».
Un anno fa di questi tempi, firmava a Chieti in A2 un po’ snobbato dalla massima serie. Oggi è a Masnago ad allenarsi dopo aver vestito la maglia azzurra. Un’evoluzione notevole.
«Ero stato scartato da tante squadre di Serie A. Non era mancato l’interesse perché appunto mi avevano cercato, piuttosto c’era poca conoscenza del mio modo di giocare anche perché ero stato poco seguito nei miei anni negli States. Si pensava fossi una scommessa e nessuno ebbe il coraggio di giocarla. Così, di concerto con il mio agente e la famiglia, decisi di cominciare dalla A2 per salire un gradino alla volta. Poi è arrivata la telefonata di Varese».
Possiamo quindi tracciare un bilancio personale di questa prima esperienza in Serie A?
«Più che un bilancio, mi sento di dire che sono contento per essere arrivato a Varese e grato per l’opportunità che mi è stata data. Da quando sono arrivato, sono sceso in campo sereno, senza pressioni addosso: così sto meglio e gioco di conseguenza».
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