Il bimbo ucraino nasce con una rara malformazione intestinale e urologica: viene salvato dai medici del Policlinico di Milano
La diagnosi è stata fatta quando aveva sei mesi di vita. Lo scoppio del conflitto lo hanno aiutato nel fuggire dal suo paese e trovare accoglienza nel reparto di chirurgia pediatrica del professor Ernesto Leva
Mario, nome di fantasia, aveva solo sei mesi di vita quando i medici hanno individuato una grave malformazione intestinale e urologica. A complicare il quadro anche la guerra che il paese dove era nato stava combattendo. Così il piccolo Mario è stato subito accolto dalla grande mobilitazione internazionale in favore della popolazione residente, vittima degli scontri.
Lui e la sua mamma sono potuti fuggire e arrivare così al Policlinico di Milano, centro di riferimento internazionale per la sua patologia.
Questa storia, iniziata drammaticamente, si è risolta, almeno a livello sanitario, nel migliore dei modi : oggi il piccolo ha 12 mesi ed è potuto tornare a casa dalla sua famiglia.
Il bimbo si trovava all’Ospedale di Chernivtsi, a ovest di Kiev, quando è scoppiata la guerra lo scorso Febbraio. “E’ nato con una grave malformazione ano-rettale – racconta Ernesto Leva, direttore della Chirurgia Pediatrica del Policlinico di Milano – ed era ricoverato per delle ulteriori complicanze urologiche causate dalla sua condizione. Data la complessità del caso, alla madre era stato detto che in Ucraina sarebbe stato molto difficile procedere con un intervento ricostruttivo». Nessuna speranza di guarigione, quindi.
Quando però a causa del conflitto si mobilitano gli aiuti umanitari, l’Ong Rainbow4Africa, immediatamente operativa nel portare aiuti e creare ponti sanitari fra gli ospedali ucraini e quelli italiani, si attiva per trovare la struttura più idonea e trasportare il piccolo. Tra i suoi volontari c’è anche Daniele Dondossola, medico della Chirurgia Generale e Trapianti di Fegato del Policlinico di Milano: e dopo un lungo viaggio il bambino viene portato in salvo in Italia insieme alla sua mamma. Ad accoglierli è proprio il Policlinico di Milano, individuato perché è al centro della rete europea eUROGEN: si tratta di un network internazionale specializzato nella diagnosi e nelle cure di alta qualità per i pazienti con malattie rare e complesse uro-retto-genitali.
I medici del Policlinico esaminano la situazione e scoprono che il piccolo ha anche una grave malformazione ai reni. Viene pianificato un percorso di più interventi chirurgici ricostruttivi, ma ci si mette di mezzo Covid-19: la copertura vaccinale in Ucraina è molto bassa, e sia il piccolo sia la madre si scoprono positivi al coronavirus. I primi 20 giorni viene quindi ricoverato nella Pediatria – Alta Intensità di Cura diretta da Paola Marchisio; una volta guarito dal virus, viene affidato ai chirurghi pediatrici e agli urologi pediatrici, guidati rispettivamente da Ernesto Leva e Gianantonio Manzoni, che intervengono insieme agli esperti di Anestesia e Rianimazione pediatrica coordinati da Giuseppe Sofi e Giovanna Chidini.
Siamo a fine maggio: il primo intervento dura 6 ore, nelle quali viene ricostruita la porzione terminale dell’intestino, si asporta il rene sinistro e vengono ricostruite le vie urinarie. Poi, dopo qualche settimana di degenza per stabilizzare la situazione, a inizio agosto il piccolo torna in sala operatoria per un intervento di ricanalizzazione intestinale: «Il percorso chirurgico è così completo – spiega Leva – e non c’è stata alcuna complicanza, tanto che dopo qualche giorno il piccolo è potuto tornare a casa. Grazie a tutto questo, ora potrà avere un futuro simile a quello di tutti gli altri bambini».
«Interventi così complessi sono possibili non solo per le competenze professionali che un ospedale come il nostro può mettere in campo – commenta Ezio Belleri, direttore generale del Policlinico di Milano – ma anche grazie alla perfetta sinergia tra tutti i professionisti coinvolti. La nostra chirurgia pediatrica è considerata tra i primi centri a livello europeo, con più di 300 interventi di questo tipo all’attivo. Non si è trattato solo di curare una patologia complessa e rara: medici e infermieri hanno accompagnato nel percorso il bimbo e la sua mamma, cercando sempre di mantenere viva la speranza. E la speranza si è trasformata in realtà, dando al piccolo la possibilità concreta di una vita migliore».
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