Cento anni fa le camicie nere occuparono il Comune di Varese
Era l'agosto del 1922, alla vigilia della marcia su Roma. Duecento fascisti fecero irruzione nel palazzo comunale devastandolo. Il sindaco Cova fu costretto a dimettersi
La memoria degli avvenimenti di 100 anni fa ancora divide il nostro paese. A ottobre cadrà il centenario della marcia su Roma, tra due anni quello del delitto Matteotti. Eventi cruciali per la storia nazionale. Molto stava però cambiando anche a livello locale. Ciò che accadde sui territori è una memoria completamente rimossa, come si fa, spesso, con le cose che non ci piacciono. Per questo ci sembra giusto tornare a Varese, al 26 agosto di un secolo fa quando i fascisti, ben prima della marcia su Roma, assalirono il municipio per scacciare la giunta socialista regolarmente eletta. Un episodio che avrà rilevanza nazionale. Un episodio che rivela, senza equivoci, il carattere eversivo del fascismo.
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Nell’ottobre del 1920, dopo sette anni, viene rinnovato il consiglio comunale di Varese. I socialisti vincono con il 52% dei voti. Il blocco liberale che ha governato per sessant’anni dopo l’Unità d’Italia esce sconfitto e raccoglie il 30% dei consensi. Il Partito Popolare ha il 18%.
Per la borghesia locale è uno shock, ben rappresentato dai commenti di Giovanni Bagaini, fondatore e direttore della Cronaca Prealpina. All’indomani della sconfitta, incredulo, dedica per più giorni pagine e pagine a raccontare le benemerenze delle forze liberali e parla di aperta ingratitudine di fronte ad un risultato che le estromette dal governo del Comune.
In tutto il territorio del mandamento di Varese, allora provincia di Como, il successo dei socialisti è schiacciante. Sono 51 i comuni, tra cui tutti quelli più grandi, che vedono la vittoria di quel partito.
Una intera classe politica di ispirazione risorgimentale è liquidata con il voto democratico. In alcune località si chiudono storie di potere locale che risalgono addirittura a prima del Risorgimento.
Ancora più importante del dato politico è quello sociale. L’unico sindaco laureato eletto dai socialisti è l’avvocato Andrea Beltramini, a Varese. A Barasso abbiamo un operaio della fabbrica di pipe. A Ispra un pescatore. A Malnate uno scalpellino. A Laveno un calzolaio.
Il quarto stato di Pellizza da Volpedo si fa potere per vie legali.
Con la tarda primavera del 1922 le squadracce fasciste danno inizio alla dissoluzione di questa esperienza di governo democraticamente eletto. Il primo a cadere è il comune di S. Ambrogio Olona dove il sindaco riceve un ultimatum: o dimissioni o occupazione. I carabinieri e le altre forze dello stato “consigliano” le dimissioni. Questo atto fa parte della strategia della violenza decisa da Mussolini attraverso un piano articolato su più fronti. Mentre in Romagna i picchiatori si scateneranno contro le cooperative e i circoli operai, in Lombardia l’attacco si concentrerà contro le amministrazioni di sinistra.
Al Comune di Varese tocca alla fine di agosto. Il pretesto è la mancata commissione d’inchiesta su presunte irregolarità della amministrazione, richiesta a inizio anno da una parte dell’opposizione liberale e da alcune associazioni cittadine. Questo tipo di istanza era stata fatta in numerosi comuni. A Laveno per ben due volte il Prefetto aveva mandato a verificare le accuse e per ben due volte ne aveva constatato l’infondatezza. A Varese il Prefetto aveva soprasseduto. I fascisti, agitando la parola d’ordine della commissione d’inchiesta, del tutto pretestuosa, occupano il comune.
L’occupazione è preannunciata. La riprova è l’arrivo di un camion di soldati da Como per difendere l’edificio. Le camicie nere sono, secondo diverse testimonianze, circa duecento. Tra soldati armati, carabinieri e forze di polizia, si arriva a un centinaio. I fascisti sfondano il picchetto posto davanti al portone ed entrano in comune devastandolo. Alcuni si arrampicano lungo le grondaie ed entrano al primo piano rompendo le finestre.
Negli uffici della vice prefettura si tiene una drammatica riunione. Col Vice prefetto ci sono il comandante dei carabinieri, il questore, gli ufficiali dell’esercito e, incredibilmente, i fascisti. Il sindaco Luigi Cova, subentrato ad Andrea Beltramini che è stato eletto deputato, si trova solo, circondato dalle autorità che non hanno difeso la legalità e dagli autori della violenza. I fascisti, sfacciatamente, richiedono le sue dimissioni. Le autorità dello stato, nel momento stesso in cui li hanno assunti come interlocutori e non come persone da perseguire, hanno già detto da che parte stanno. Al sindaco Cova non resta che la via delle dimissioni. Pochi minuti dopo verrà nominato un commissario.
La vicenda ha un risvolto nazionale per la battaglia politica ingaggiata a Roma dai deputati Andrea Beltramini e Francesco Buffoni. L’8 settembre la giunta verrà reinsediata con la presenza del 67° reggimento fanteria di Milano che si schiererà con le mitragliatrici per dissuadere altre eversioni. Alla vigilia della Marcia su Roma , come in molte altre situazioni, l’amministrazione del sindaco Cova si dimetterà definitivamente.
Nel febbraio del 1924 si torna votare per l’amministrazione comunale. La Cronaca Prealpina presenta queste elezioni come il frutto di: «Un’azione vigile prima profondamente combattiva, esercitata dalla minoranza in consiglio comunale col più largo consenso della cittadinanza e l’intervento energico del Fascio locale hanno rovesciato nel 1922 l’Amministrazione socialista». È la rivendicazione di una saldatura tra lo squadrismo fascista e una parte della borghesia cittadina che non ha mai digerito la sconfitta elettorale del 1920. Rivendicazione che non la salverà dall’emarginazione definitiva dalla vita politica cittadina, questa volta da parte del suo alleato fascista. Vale la pena ricordare che non c’è nessun largo consenso né all’azione dei liberali che a quella dei fascisti.
Due mesi dopo nell’aprile del 1924, nelle elezioni che consegneranno il Parlamento a Mussolini a Varese il Blocco fascista prenderà il 38% ben lontano dal 64% nazionale. E questo nonostante i brogli che porteranno la cancellazione del 10% dei voti in città .
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Un testo curato alla perfezione, basato su fonti storiche di prima mano.
Due piccoli nei: non si chiamava vice-Prefettura bensì sotto-Prefettura, e – vivaddio – Stato con la S maiuscola per favore. Grazie.