E se mangiassimo i cinghiali abbattuti, facendo di un problema un’opportunità?
Si tratta di esemplari che verrebbero comunque soppressi e che rappresentano una fonte di carne a km 0, che non ha assunto antibiotici e che non ha vissuto in allevamenti intensivi. I perché di una proposta
È ormai evidente che il cinghiale sia una specie ampiamente diffusa sul territorio nazionale e con consistenze elevate, per una serie di concause naturali e antropiche (ne abbiamo parlato qui articolo precedente). Da inizio anno a giugno 2022, solo nella regione insubrica gli esemplari regolarmente abbattuti o trovati morti, e quindi sottoposti agli esami sanitari previsti, sono stati ben 2004, di cui 1098 nella provincia di Varese e i restanti 906 nella provincia di Como.
Oltre alla regolare attività venatoria, un ruolo rilevante lo giocano le aree protette impegnate nelle attività di controllo del cinghiale, tramite interventi di contenimento, effettuati per limitare i danni all’ecosistema e alle attività connesse causati dalla specie (legge quadro sulle aree protette n° 394/91 art. 22, comma 6 ). E allora perché non utilizzare la carne di questi animali, che comunque sarebbero abbattuti, e trasformarla in una risorsa per le nostre tavole?
I VANTAGGI DELLA CARNE DI SELVAGGINA
Un sistema ecocompatibile
Nel sistema produttivo basato sulla carne proveniente da selvatici locali, l’inquinamento e lo sfruttamento delle risorse naturali sono quasi nulle rispetto ai tradizionali sistemi di allevamento responsabili del 18% delle emissioni di gas a effetto serra (in CO2 equivalenti), percentuale superiore a quella derivante dai trasporti. In un periodo in cui la risorsa idrica è più preziosa che mai, non va dimenticato inoltre che per ottenere un chilogrammo di carne di manzo si utilizzano circa 1000 litri d’acqua in Italia, fattore non irrilevante specialmente di questi tempi. Da non trascurare il fatto che la perdita di biodiversità dovuta al degrado del suolo, all’inquinamento, ai cambiamenti climatici, alla sedimentazione delle zone costiere e all’invasione di specie alloctone, sono tutti fattori incentivati dalla sempre maggiore spinta verso l’allevamento intensivo degli animali.
Un alimento sano e naturale
La carne di selvaggina presenta diversi pregi che la rendono interessante dal punto di vista organolettico. Si tratta di una fonte alimentare ricca di Omega-3, proteine, ferro, zinco, vitamina B12, di alcuni acidi grassi polinsaturi. È inoltre povera di calorie e colesterolo, con un basso contenuto di grassi che varia in funzione di sesso, età, condizioni fisiologiche e stagione di caccia. Da numerosi studi è risultato che il grasso dei ruminanti selvatici ha anche un favorevole rapporto di acidi grassi Omega-3/Omega-6, con un contenuto interessante di acido linoleico coniugato (CLA). Essendo animali a vita libera non sono soggetti a trattamenti farmacologi.
Benessere animale e costi competitivi
Foto di Pino FaréAnche il benessere è un fattore essenziale perché va ad influenzare enormemente la qualità delle carni prodotte: l’animale è libero per tutta la vita, si alimenta in modo autonomo delle essenze preferite che trova sul territorio e gode di conseguenza di un maggior livello di qualità della vita. La carne di animali selvatici vissuti in natura rispetto a quella di soggetti allevati, seppure controllata, si dimostra poco competitiva, considerati gli alti costi di produzione che si traducono in un prezzo più alto del 40-50%.
Locale e legale
In Italia da una parte ci sono le grandi importazioni di bovini d’allevamento e di carne bovina fresca o refrigerata che nel 2021 oscillano rispettivamente tra i 60.000-80.000 capi al mese e tra le 20.000-25.000 tonnellate. Dall’altra, la carne di selvaggina spesso proviene dal mercato nero o, nonostante le elevate consistente nella penisola, è importata da paesi UE (88%), soprattutto dalla Germania, e fuori UE (restante 12%) in particolare dall’Ungheria, spingendosi fino in Nuova Zelanda e negli USA. La filiera di carne di selvatici deve lavorare non solo sulla sicurezza alimentare ma anche sulla tracciabilità per garantire trasparenza e legalità, diventando quindi anche uno strumento per combattere le frodi in campo alimentare e per valorizzare le risorse locali.
Rischi da ridurre
Foto di Pino FaréDal punto di vista della tutela del consumatore sono diversi gli aspetti da tenere sotto controllo. Il principale è il rischio di zoonosi, associate al consumo di carne di ungulati selvatici, soprattutto nel caso delle carni derivanti da cinghiali che sono soggetti in misura maggiore alla Trichinellosi e altre malattie trasmissibili all’uomo. Altro rischio è rappresentato dalla possibile contaminazione da piombo derivante dai residui dei proiettili, che potrebbe però essere facilmente ridotto con l’utilizzo di munizioni leadless, anche per evitare fenomeni di saturnismo (ossia intossicazione da piombo) nella fauna. Non è pertanto sufficiente indirizzarsi verso un consumo di carne di selvaggina a discapito di quella d’allevamento, ma è necessario che venga creata una vera e propria filiera specifica e tracciata.
La Val d’Ossola fa da apripista
Dalla necessità di gestire le popolazioni di ungulati selvatici nell’areale dell’Alta Val d’Ossola, per rendere maggiormente resiliente la comunità locale ai danni agli ecosistemi montani, è nato il programma di “Filiera Eco-Alimentare”. Si tratta un progetto innovativo che ha come capofila l’Associazione ARS.UNI.VCO, come partner l’Unione Alta Ossola e l’Università di Milano e finanziato da Fondazione Cariplo. Il primo obiettivo è stato la promozione del prodotto derivante da animali selvatici attraverso lo sviluppo della prima filiera italiana certificata di carne di selvaggina che seguisse un disciplinare di produzione etica, tracciata e che garantisse elevata sicurezza igienico-sanitaria e riconoscibilità grazie ad un marchio di qualità certificato legato al territorio di appartenenza. Non da meno, si è voluto anche incentivare lo sviluppo del turismo gastronomico legato alle produzioni locali, coinvolgendo nella gestione del territorio sia il mondo venatorio sia quello alberghiero.
Numeri importanti
In tutte le Aree protette del Piemonte sono attivi piani di contenimento del cinghiale con modalità e numero di prelievi differenti, ma il Parco Naturale La Mandria ha deciso di smaltire le carcasse degli esemplari avviando, già da diverso tempo, una filiera della carne che ha fruttato in taluni periodi anche 90mila euro in un anno. Una buona pratica, dunque, che potrebbe essere replicata ed esportata anche in altre realtà naturali che si trovano a gestire il sovrannumero dell’ungulato.
Selvatici e buoni
Foto di Pino FaréÈ possibile affermare un modello di sviluppo delle aree montane in grado di coniugare esigenze ambientali e socio-economiche attraverso adeguate scelte gestionali? Il progetto “Selvatici e Buoni” curato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano, la Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, sostenuto dalla Fondazione UNA Onlus e con la consulenza specialistica dello Studio Associato AlpVet, si è posto proprio questo obiettivo. Lanciato nel bergamasco come prima area test nazionale ha creato una filiera tracciabile della selvaggina e ha valorizzato le potenzialità di quel territorio, in
Il cinghiale nel banco frigo è servito, anche in provincia di Varese
Grazie alla collaborazione tra Regione Lombardia, Metro, IAB, Filiera Agricola Italiana, e Fondazione Una, dalla primavera 2022 nei punti vendita Metro Italia è possibile acquistare carne di cinghiale 100% italiana e proveniente da esemplari selvatici. Il prodotto finale è frutto di una filiera di carne di selvaggina completamente nazionale, ottenuta nell’ambito dei programmi per la gestione della popolazione dei cinghiali approvati da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). I tagli di carne seguono un iter certificato nei centri di lavorazione sottoposti a vigilanza veterinaria per garantire la massima sicurezza alimentare.
L’iniziativa, inoltre, punta a diffondere grazie al mondo della ristorazione una maggiore consapevolezza delle varietà alimentari del territorio italiano. Nei diversi punti vendita presenti nel nord Italia è disponibile il prodotto fresco e surgelato che presto avrà i marchi “Selvatici e Buoni” e “Firmato dagli Agricoltori Italiani”. Anche il Parco Naturale Pineta di Appiano Gentile e di Tradate ha stipulato un accordo con un Centro di Lavorazione della Selvaggina nel Bresciano che settimanalmente recupera gli esemplari abbattuti per le attività di controllo e che sono destinati al banco frigo del supermercato Metro.
Diverse quindi sono le realtà che si stanno affacciando a questa nuova prospettiva così come la richiesta di carne di cinghiali selvatici da parte del consumatore sta assumendo un’importanza sempre maggiore, non solo come piatto tipico delle zone montane ma anche come alimento da scegliere in ogni occasione e durante tutto l’anno. Come negli ultimi decenni il termine “biologico” si è fatto sempre più familiare e rientra ogni giorno di più tra le nostre scelte, è necessario che il consumatore venga informato dell’esistenza di un mercato analogo e parallelo per la carne di selvaggina. Ma non basta. Bisognerebbe infatti porre la stessa attenzione alla provenienza della carne di selvatici e richiedere la stessa alta qualità che siamo ormai abituati a cercare per altre categorie di alimenti.
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La selvaggina può rappresentare una valida alternativa alla carne da allevamenti intensivi. La creazione di un modello di filiera corta tracciata trasforma inoltre il problema della sovrabbondanza degli ungulati in una concreta opportunità economica per il territorio e per tutta la filiera.
DOVE ACQUISTARE CARNE DI CINGHIALE PROVENIENTE DA FILIERA CORTA TRACCIATA:
- Azienda Agricola Pirovano Roberto – CLS (Centro Lavorazione Selvaggina), Via Ippolito Volpi 53, 21050, Besano (Varese) – Tel. + 39 3474319139 (chiamare prima di andare)
- Azienda Agricola PIRA.TEAM – CLS (Centro Lavorazione Selvaggina), Località Pira 5, 21010 – Castelveccana (Va), Tel. +39 3757241790 – happymeat@pira.team .
- Punti vendita Metro in Italia (Como e Castellanza i più vicini a noi)
DOVE CONSUMARE CARNE DI CINGHIALE E PRODOTTI DERIVATI PROVENIENTI DA FILIERA CORTA TRACCIATA:
- Agriturismo La Cassinazza, Cascina Cassinazza, 2, 22030 Orsenigo (Como) – Tel. 031 631468
FONTI:
http://www.vetinweb.it/cm_siv/?q=node/3249
https://www.unimontagna.it/web/uploads/2017/06/E-book_filiera.pdf
http://www.parks.it/federparchi/leggi/394.html#anchor%20tit3
https://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3936
https://www.assocarni.it › moduli › downloadFile
Aiking H. (2011). Future protein supply. Trends in Food Science and Technology, 22, 112–120
FAO (2006). Livestock’s long shadow, environmental issues and options. Rome, Italy
Lebersorger P., Paulsen P., Winkelmayer R., Zedka H. (2008). Wildbret- hygiene. Das Buch zur
Guten Hygienepraxis bei Wild. Zentralstelle Osterr. Landesjagdverbande, Wien
Ken Drew (2012). Deer and deer farming. Te Ara – the encyclopedia of New Zealand.
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Abbiamo una ennesima ricchezza quasi a costo zero e con enormi risparmi ambientali. Ricordo che ventanni fa la polenta con ragu’ di cinghiale al ristorante era una rarita’. Sarebbe bello che anche le grandi catene di distribuzione offrissero questo tipo di carne. Non dimenticando che sono decine i morti di scontri in auto con i cinghiali.(Senza dirlo agli animalisti che non vorrei soffrissero per la macellazione di un esiguo numero dei 2,3 milioni di cinghiali esistenti in Italia)