Quel giorno dell’89 in cui Gorbaciov si fermò a Gallarate
Il 1° dicembre 1989 l'ultimo presidente dell'Urss arrivò all'aeroporto di Malpensa, per una visita che lo avrebbe portato allo storico incontro con il Papa. Inatteso (o studiato) il passaggio a Gallarate, davanti alla sede del PCI: fu un abbraccio di molti, comunisti e non
Era forse solo l’emozione di vedere la storia passare sulle strade di casa. O forse invece era davvero, nel profondo, la speranza che Gorbaciov incarnava, un po’ per tutti.
Fatto sta che a Gallarate molti di quelli che hanno più di quarant’anni ricordano quel giorno in cui il presidente dell’Unione Sovietica passò dalla città. Un transito banale – sulla strada dall’aeroporto di Malpensa – ma che si trasformò in un inatteso bagno di folla, tra entusiasmo quasi irrazionale e mille preoccupazioni della scorta.
La data è quella del 1° dicembre 1989. È l’anno che chiude il secolo breve, non è passato un mese dalla caduta del Muro di Berlino e Mikhail Gorbaciov viene ricevuto a Roma da Papa Wojtyla. Un incontro storico, tra il leader sovietico della perestrojka (ristrutturazione) e della glasnost (trasparenza) e il pontefice che aveva sostenuto solidarnosc, il movimento politico-sindacale che nove anni prima in Polonia aveva sfidato il sistema sovietico.
Gorbaciov era arrivato con la moglie Raissa Gorbaciova a Malpensa nel pomeriggio dell’1, perché a Milano era previsto un incontro con gli industriali lombardi. All’arrivo l’aereo Iliushin fu accolto dal presidente del consiglio Giulio Andreotti e dal ministro degli esteri, il socialista, Gianni De Michelis. Da lì partì un corteo di 53 auto, tra la scorta, i veicoli dei politici italiani, le sei massicce auto ZIL con i sovietici, con le bandierine rosse in cima al lungo cofano.
Il giorno dopo, il Corriere della Sera registrò proprio quella strana «sosta fuori programma a Gallarate: il leader ha fatto fermare la sua Zil nera nel centro della cittadina per qualche stretta di mano». Una folla che doveva apparire immensa anche al leader sovietico, forse convinto di essere già nella periferia di Milano: fatto sta che al primo contatto con la folla decise di fermarsi.
«In quel momento con la perestrojka c’era un grande entusiasmo e speranza, sembrava che il mondo andasse verso la pace» racconta Carmela Del Prete, che allora era responsabile amministrativa della stazione di Gallarate. «Dalla stazione insieme ai colleghi andammo a vedere l’auto che passava». Faceva freddissimo, ma c’era il sole.
Non esisteva ancora la superstrada 336, che sarebbe stata completata in fretta e furia l’anno dopo, per i mondiali di calcio del ’90: erano appunto in corso i lavori di adeguamento della vecchia statale. Il percorso di quel giorno da Malpensa prevedeva dunque il transito sulla vecchia statale fino a Cardano al Campo, poi il passaggio sulla circonvallazione di Gallarate (via Ferrario-via Buonarroti), poi il viadotto della Mornera e di qui fino al casello autostradale. «Noi eravamo vicino alla Mornera. C’era una folla enorme: lui e Raissa erano affacciati al finestrino e salutavano», ricorda ancora Carmela Del Prete.
(Nella foto di apertura: il passaggio a Cardano, ritratto da un operaio della Galdabini, qui la storia)
Una folla fitta ed entusiasta, tanto che il leader sovietico decise improvvisamente di fermarsi, all’altezza dell’incrocio tra via Buonarroti e via Parini, dove c’era anche la sede del PCI. La sosta a Gallarate forse non fu casuale: attraverso la segreteria nazionale a Roma qualcuno avrebbe ottenuto appunto quel brevissimo passaggio. C’era Giovanni Martinoli, segretario cittadino: il partito comunista a Gallarate aveva raccolto il 18% dei voti nel 1987, c’erano molti militanti, anche da fuori città. «Per noi era allora motivo di speranza, anche se poi ha portato la Russia al disastro» dice oggi Osvaldo Bossi, comunista irriducibile che oggi invece è – appunto – molto critico verso l’eredità di Gorbacev e il declino dell’Urss dopo il 1991.
Il partito comunista italiano – il più grande d’Occidente – allora accolse il leader con particolare calore: dopo gli anni di Chernenko e Andropov, Gorbaciov si era fatto portatore di istanze di riforma che trovavano sponda in Italia, dove Berlinguer già quindici anni prima aveva aperto una fase di critica al sistema sovietico (senza rompere). A inizio anno l’allora segretario del PCI Occhetto aveva incontrato Gorbaciov, anche sul piano teorico anche in Urss si iniziava a guardare in modo più aperto la parola “eurocomunismo”, la via diversa al comunismo.
A Mosca c’era, nella ristrettissima delegazione, anche Rocco Cordì, allora segretario provinciale varesino: «Eravamo arrivati fino alla sua stanza: incontrammo Vadim Zagladin, consigliere di Gorbaciov per la politica estera. Lo “scambio fraterno di opinioni” fu franco: già sia sentiva forte l’opposizione dei conservatori interni, si era parlato anche del quadro italiano. Consegnai anche un disegno fatto da mio figlio, con le bandiere di Usa e Unione Sovietica e in mezzo il disegno della testa di Gorbaciov, con la voglia rossa ben visibile. Era il riassunto, fatto da un bambino, del sogno della coesistenza pacifica e del disarmo, di una nuova era».
Oltre ai comunisti, quel giorno a Gallarate c’erano comunque molti cittadini comuni, anche persone di altri partiti: in quel momento per molti Gorbaciov era una speranza per molti, di rinnovamento o di pace. Nell’entusiasmo della folla una cittadina gallaratese, Bice Casola, regalò persino il suo orologio a Raissa Gorbaciova.
La sosta a Gallarate risultò inattesa alla scorta. «Quando si fermarono noi eravamo più avanti, quindi non assistemmo alla discesa» ricorda un allora ispettore, che si trovava con il dirigente sull’auto che apriva il corteo di berline diplomatiche e auto della polizia. «Fummo avvisati via radio dalla scorta motociclisti della Stradale».
Dopo l’abbraccio a Gallarate, via diretti a Milano, dove trascorsero tre ore, con l’incontro con Giovanni Spadolini, presidente del Senato, la visita alla Galleria e al Cenacolo, il rendez-vous al Castello Sforzesco con gli imprenditori (nel solco della tradizione di rapporti tra Urss e capitalismo italiano, ben antecedente alla perestrojka), il dono di una statua di Arnaldo Pomodoro.
Le speranze di rinnovamento dell’Urss si infransero poi di fronte a profonda crisi economica, che lasciò poco spazio alla uskorenie (accelerazione, recupero sull’Occidente, altra parola d’ordine del leader), e a spinte centripete sempre più evidenti, a partire dalle repubbliche del Baltico, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania.
Meno di due anni dopo la visita in Italia, ad agosto 1991, Gorbaciov fu rimosso a seguito del fallito colpo di Stato, trasformatosi in una manovra di palazzo: al potere salì Boris Eltsin. A dicembre del 1991 Russia, Bielorussia e Ucraina si divisero e finì l’Unione Sovietica. Allora la transizione fu tutto sommato pacifica, se confrontata con il sanguinoso epilogo dell’altro sistema comunista, quello federalista della Jugoslavia: quella fase diede pienamente ragione a chi a Ovest aveva sperato che Gorbaciov portasse alla pace e alla democrazia.
Nel 1993 un altro colpo di Stato tentò di disarcionare Eltsin.
«Dal Parlamento bombardato ancora saliva fumo» ricorda un altro gallaratese, Angelo Protasoni, allora esponente del partito repubblicano e imprenditore che aveva rapporti con la Russia (post)sovietica e che arrivò a Mosca in quei giorni agitati. Con il bombardamento del Parlamento del 1993 e il fallimento dell’opposizione a Eltsin fu sciolto anche il Soviet Supremo, ultimo residuo dell’Unione. A Ovest era la fine del nemico, a Est divenne per molti l’inizio della fase che i russi ricordano come più dura: Vladimir Putin, nel riscrivere a posteriori quel pezzo di storia, ne ha parlato nel 2005 come della «più grande catastrofe geopolitica della storia». Nel 1993 il fuoco già covava sotto le ceneri, sulla faglia Est-Ovest. Ieri nel Caucaso, oggi in Ucraina.
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