“Io c’ero”. Una varesina racconta a Radio Deejay il disastro di Woodstock ’99
Se ne è tornato a parlare dopo il successo di un documentario di Netflix dedicato al festival di fine anni Novanta. Durante la trasmissione di Alessandro Cattelan, la testimonianza di Margaret di Varese

«Nell’immagine che ho della fine del concerto, ci sono io che parto per andare alla macchina per tornare a casa e dietro di me il palco totalmente in fiamme». È una varesina, Margaret, a raccontare in diretta a Radio Deejay, durante una puntata della trasmissione Catteland, quello che ha visto personalmente accadere a Woodstock ’99. Un festival che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto far rivivere le atmosfere e le emozioni della straordinaria edizione originale del festival e che invece è passato alla storia come uno dei peggiori eventi pubblici mai realizzati nella storia della musica.
Di Woodstock ’99 si sta tornando a parlare molto di recente, dopo che Netflix questa estate ha pubblicato sulla piattaforma un documentario di successo dedicato a quell’edizione, dal titolo “Trainwreck“, “deragliamento”, proprio per richiamare il disastro di quelle giornate terminate con devastazioni, strutture distrutte, incendi, danni e una conta esagerata di feriti.
Ascolta la puntata di Catteland

Il lontano ricordo dei figli dei fiori
Alcol, droga, condizioni sanitarie pessime, episodi di molestie e soprattutto tantissima violenza hanno caratterizzato la manifestazione che era stata voluta e realizzata con tutt’altra finalità, tra l’altro, anche da Michael Lang, uno degli organizzatori del Festival del 1969. Le cose sono andate storte. E questo guardando la miniserie si capisce subito. Quello che ci si chiede per tutta la durata del docufilm è però come si sia potuti arrivare a far degenerare così tanto la situazione senza che nessuno intervenisse in qualche modo.
Ma facciamo un passo indietro: musicalmente parlando, per capire la portata dell’evento, serve dare un’occhiata al palinsesto con gli occhi di un giovane dell’epoca. Sul palco di Woodstock ’99 sono saliti tutti i più grandi artisti di quel periodo (The Offspring, Rage Against the Machine, Red Hot Chili Peppers, Alanis Morissette e Metallica per citarne alcuni) e in particolare si attendevano i gruppi di tendenza del genere Nu Metal, allora seguitissimo negli Stati Uniti, come i Korn e i Limp Bizkit (alcuni degli episodi di violenza peggiori registrati durante la manifestazione si sono verificati proprio durante e dopo l’esibizione di questi ultimi). Era insomma il “concertone” del momento come ha ben descritto l’ascoltatrice varesina di Alessandro Cattelan, che allora si trovava negli Stati Uniti come ragazza alla pari.

“Una situazione allucinante”
«Vivevo lì, ho fatto tutto il ’99 a vivere nel New Jersey come au pair – racconta – e, con tutta la banda di amici che provenivano un po’ da tutto il mondo, siamo partiti per andare al concerto a “Rome”, l’area dove si svolgeva l’evento». Che poi non è andato come sperato… «Era allucinante. All’interno le bottigliette dell’acqua venivano vendute a dieci dollari, tantissimo per quel periodo. Poi le condizioni igieniche: non c’erano docce ma solo un grande getto d’acqua sotto al quale, subito dopo, si è creato un enorme strato di fango ed erano praticamente inutilizzabili (nel documentario si vede che oltre al fango erano presenti in realtà anche gli scarichi provenienti dai bagni rotti, ndr). Inoltre non si poteva uscire per fare rifornimenti, o meglio se si usciva poi non era più possibile rientrare».

“Ho rischiato la vita”
Margaret ha raccontato a Radio Deejay il secondo e terzo giorno di festival, quelli che, nella serie sono ricostruiti come i più problematici. Si vedono centinaia di migliaia di ragazzi, senza regole, sotto il sole a temperature torride, senza acqua, servizi e senza che nessuno raccogliesse nemmeno l’immondizia del giorno prima. È ben evidente dalla ricostruzione, quanto la rabbia del giovanissimo pubblico, sia montata di giorno in giorno fino ad esplodere.
«Non c’erano i telefoni quindi non si sapeva pienamente quello che stava succedendo – ricorda l’ascoltatrice -. Erano altri tempi». Rispetto allo svolgimento del festival la sua testimonianza riporta solo marginalmente quanto descritto nella serie di Netflix e spiega forse meglio della serie anche il perché molti ragazzi intervistati, alla domanda “lo rifareste?” riferito a quell’esperienza rispondono di sì.

«Noi eravamo in tenda e comunque, da lontano, si potevano seguire tranquillamente i concerti anche perché non c’erano situazioni devastanti sempre. Il problema per noi è stato l’ultimo giorno durante l’esibizione dei Red Hot Chili Peppers (per capirsi, il bassista Flea suonò sul palco completamente nudo, ndr). Da fan ho voluto seguirli sotto il palco e ho rischiato tantissimo. La folla spingeva in un modo incontrollato e se fossi caduta lì non mi avrebbero mai tirato su. Ero con un’amica e ci hanno salvato due ragazzi grandi e grossi che ci hanno fatto un po’ da barriera vedendoci in difficoltà». È impressionante vedere le immagini del “pogo” con la folla che si muove anche di alcuni metri durante i concerti clou: quello appunto descritto da Margaret ma anche quello della prima sera dei Korn.
Il documentario di Netflix si chiude con le immagini, non sappiamo quanto enfatizzate, che sembrano tratte da un film apocalittico. C’è il viavai dei soccorsi e dei vigili del fuoco in azione e quello delle persone in fuga dall’area del festival, devastata dagli incendi appiccati dalla folla dopo l’assurda decisione, da parte di alcuni organizzatori, di distribuire delle candele che avrebbero dovuto donare un’atmosfera suggestiva e di pace sotto le note di “Under the Bridge” dei Red Hot. Non è andata così e i figli dei fiori erano soltanto un’immagine sbiadita.
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