In tribunale a Varese fra le lacrime: “Mi obbligava a fare sesso col coltello sotto al cuscino”
Parla la donna che ha accusato il marito di violenza sessuale dopo anni di soprusi: “Cominciò a picchiarmi tre giorni dopo il matrimonio
Un separè, oltre alle sbarre, a dividere due vite. In mezzo i ricordi di una relazione guasta fin dal principio, ma che è finita e ferme restando le presunzioni d’innocenza per l’imputato se non altro già fin d’ora evidenzia la forza d’animo di una donna a reagire sia pur tardivamente ai soprusi.
Il quadro famigliare è presto fatto; coppia straniera arrivata in Italia nel 2009, oggi sulla cinquantina, due figli, lui con lavori saltuari che beve, e gioca, passato violento già sbocciato tre giorni dopo il matrimonio, nel ’95, in Albania: «Mi aveva pestata perché suo cugino gli disse che mi ero rifatta il colore alle unghie. Allora ho capito, ma ho dovuto tacere. In Italia anche. Poi però…».
Poi è quella sera del 22 dicembre 2021 in zona Belforte a Varese quando arrivarono le pattuglie del nucleo operativo e radiomobile dei carabinieri: lei in pronto soccorso, lui in caserma. I medici trovarono una donna stanca, e già fiaccata da una frattura alla spalla che la poneva in una difesa alquanto minorata anche al momento dell’aggressione, coi figli in casa che quella sera si mettono di mezzo.
«Ho lanciato il cellulare a mia figlia e le ho detto: “Chiama”, mentre mio marito stava mordendo a sangue il braccio di mio figlio che stava cercando di difendermi. Quella sera tutto era cominciato perché nella spesa non c’erano le birre».
Una situazione terribile purtroppo condita da frequenti pretese che l’uomo invocava: alcool, parole impronunciabili anche rivolte verso i figli con epiteti sessisti e volgari, poi le botte e la voglia di sesso che veniva imposto sul letto matrimoniale, con urla e vociare osceno che attirava l’attenzione dei figli, nell’altra stanza: «Più di una volta sono venuti a bussare alla mia porta per chiedere cosa stava succedendo», ha ricordato la donna tra le lacrime, mentre nella “gabbia” l’ex marito detenuto ai Miogni, e arrivato con gli schiavettoni ai polsi, gesticolava per attirare l’attenzione delle sue ragioni, rivolto un po’ alla corte, un po’ al suo avvocato, Marco Bianchi che cercava tenerlo a bada. Ma era mai possibile che una situazione del genere si protraesse da così tanto tempo prima di denunciare? Forse è stata la paura a fermare la donna.
«Mi accorgevo che metteva un coltello sotto al cuscino», ha detto, ancora terrorizzata: «Non voglio che si avvicini più a casa mia». Una situazione di soggezione che non è migliorata di certo dopo un episodio grave raccontato in aula: il tentativo tramite messaggio telefonico inviato da un compagno di cella dell’uomo nel frattempo uscito. Un messaggio per interposta persona: «Dice che vuole tornare a casa, dice che devi ritirare la denuncia». Ma la vittima ha girato tutto all’avvocato. Ora la prossima udienza è stata fissata per l’inizio di ottobre sempre di fronte al Collegio presieduto da Cesare Tacconi e col pubblico ministero Giulia Floris. Il difensore della donna e delle altre parti offese, i figli, è Elisabetta Brusa.
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