“Un giovane andrebbe assunto per le sue qualità non perché costa meno”

Il rettore della Liuc Visconti e il giornalista De Bortoli a confronto nell'incontro di Economy su lavoro e formazione. "Anche scuole e università dovrebbero porsi obiettivi e risultati"

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Federico Visconti si definisce da sempre un aziendalista, naturalmente per distinguersi dagli economisti. Il rettore della Liuc, quando parla guardando in prospettiva l’università italiana, utilizza spesso i termini “obiettivo” e “risultato“. Lo ha ribadito anche durante l’incontro, organizzato dalla rivista Economy  per festeggiare il primo lustro della pubblicazione, che si è tenuto a Palazzo Visconti a Milano. (foto, da sinistra: Federico Visconti e Ferruccio De Bortoli)

I GIOVANI E LA CULTURA D’IMPRESA

A sollecitarlo, una riflessione del giornalista Ferruccio De Bortoli, moderatore dell’incontro. «Se si assume un giovane in azienda perché costa poco e perché c’è un incentivo fiscale – ha detto De Bortoli – si trasmette un segnale sbagliato. Il messaggio che passa è che quel giovane non è stato assunto per le sue qualità, ma per il suo costo. Se il reclutamento avviene in questo modo, non si può certo pensare che quel giovane possa diventare un interprete della cultura d’impresa».

Una riflessione di buon senso, purtroppo estranea alla politica che negli ultimi anni ha incentivato l’occupazione giovanile attraverso la previsione di consistenti sgravi contributivi per le nuove assunzioni. La parola investimento, quando si parla di nuova occupazione, continua a comparire solo nelle dichiarazioni. Latita, invece, nei comportamenti che sono quasi sempre improntati alla riduzione dei costi, nonostante la definizione di capitale umano, che piace tanto agli imprenditori, sia stata sdoganata da tempo.

ASCOLTARE LE AZIENDE

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La cinghia di trasmissione rappresentata da impresa, università e scuola – ha replicato Visconti – funziona nella misura in cui queste realtà hanno delle antenne con le aziende, antenne che vanno gestite, non solo dichiarate. Tutti siamo bravi a impossessarci delle parole ma poi nei fatti questo significa che sulla ricerca applicata bisogna fare un certo investimento, così come per gli stage e nella scelta del mix tra accademici e practitioner».
Il rettore della Liuc dice di non invidiare il ministro della pubblica istruzione che, pur  avendo alle sue dipendenze 900 mila persone, si riduce ad accanirsi sempre contro l’esame di maturità, lasciando il resto dei problemi senza una risposta adeguata.
Insomma, il mondo della scuola è sempre nel guado del cambiamento, senza cambiare mai.

LA SFIDA DIDATTICA

Fare delle scelte per mettere a posto gli ambiti che uno ha sotto tiro, non è facile nemmeno per chi è a capo di una piccola università privata. «È molto importante – dice Visconti – avere ben chiara la sfida della didattica oggi. Le imprese chiedono qualche cosa e gli atenei sono sempre o troppo avanti o troppo indietro, ma occorre sapere che cambiare un piano di studi non è poi un’operazione facile da fare».

I fattori di resistenza nella progettazione didattica di un ateneo sono tanti, molti di più di quello che si può immaginare e trovare un punto di equilibrio tra i bisogni delle imprese e quelli dell’università, per esempio nel campo della ricerca, è tutt’altro che semplice. Sullo sfondo poi ci sono fenomeni recenti che Visconti elenca uno per uno e con cui bisogna fare i conti: la concorrenza delle università telematiche, la fatica a leggere i mercati, la tendenza demografica dei giovani in continuo calo, la capacità limitata di attrarre talenti dall’estero.

LA LOGICA DEL TRADE-OFF  

Il rettore non nasconde l’esigenza di avere un approccio aziendalistico nella gestione dell’università per superare un sistema fondamentalmente caratterizzato dall’inerzia. «Continuando a vedere la prospettiva della scuola e dell’università distaccata dagli obiettivi e dai risultati – conclude Visconti – non si va molto lontano. La cosa che dovremmo imparare è la logica dei trade-off utilizzata dai manager: qualche cosa si fa e qualcosa non si fa. Si potenzia ciò che si fa bene e si smette di fare ciò che non si fa bene».

“Le aziende virtuose non dovrebbero pagare nessuna tassa”

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 08 Settembre 2022
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