I giovani non vogliono più fare i chirurghi. Renzo Dionigi: “È urgente riformare la scuola di specialità”

All’ultimo esame per l’accesso alle scuole di specialità è emersa la scarsa attrattività della chirurgia generale. L’ex Rettore dell’Insubria e primario all’ospedale di Varese dà la sua lettura della carenza di vocazioni

renzo dionigi

La carriera del chirurgo non piace più? Così sembrano affermare i risultati dell’ultimo concorso per entrare nelle scuole di specialità di medicina e chirurgia. Mentre, per esempio, per l’accesso a dermatologia il punteggio minimo accettato è stato di 108 punti, per chirurgia generale sono stati sufficienti 17 punti e ancora più basso è stato quello per entrare a Medicina d’emergenza e urgenza dove sono bastati 14 punti.

Che sta succedendo tra i giovani medici in formazione? Abbiamo rivolto la domanda al professor Renzo Dionigi, stimatissimo chirurgo dell’ospedale di Varese, ex primario e docente universitario. Lo troviamo nel suo ufficio a Villa Toeplitz, sede a Sant’Ambrogio del Centro di Ricerca in Storia locale dell’Insubria. Ha appena completato la settima edizione del ”Dionigi”, un manuale di 2000 pagine sulla chirurgia generale e specialistica, un volume adottato in ben 27 Scuole di medicina in Italia.

Professore perché la chirurgia generale non attira più i giovani?

Credo che oggi la specialità di chirurgia generale non offra più un livello di preparazione adeguato. Il problema è che questo campo si è diviso in tante settori specialistici, quali l’endocrino-chirurgia, la chirurgia esofago-gastrica, la chirurgia epato-bilio-pancreatrica, la chirurgia colon-rettale, settori in cui giustamente si esige una preparazione specifica. Le nozioni di Chirurgia generale devono, quindi essere integrate da nuovi approfondimenti. Al termine della specializzazione in Chirurgia generale sono pertanto necessari ulteriori anni di studio e di pratica, per essere in grado di eseguire con la competenza richiesta interventi in questi specifici settori. Oggi l’attuale scuola di Chirurgia generale, si potrebbe considerare come un corso propedeutico a una seconda fase formativa più specifica. Può pertanto essere comprensibile l’esitazione di molti giovani nel prendere in considerazione un percorso di studi, lungo, faticoso e finanziariamente impegnativo, ed essere prevalentemente attratti da scuole maggiormente definite e complete, che permettano di raggiungere in tempi più brevi anche una certezza economica.

Ma come mai non si riesce più ad avere una preparazione completa in 5 anni?

Per una serie di concause. La chirurgia tradizionale, ovvero un ‘mestiere’ che prevedeva una sicurezza e un’abilità manuale, che ha sempre incuriosito e attratto le giovani generazioni del passato, sta progressivamente modificandosi per i notevoli progressi tecnologici (chirurgia robotica, chirurgia laparoscopica) e per la contemporanea necessità di cognizioni informatiche e della comprensione dei vari settori dell’intelligenza artificiale. Tutto sta cambiando a un ritmo a cui l’insegnamento tradizionale non riesce a reggere.
La figura del ‘maestro’ chirurgo, sta velocemente 
scomparendo; i giovani apprendono le nuove tecniche durante corsi di aggiornamento in cui i docenti sono i tecnici delle industrie che sviluppano le nuove tecnologie e, dopo il corso, entrano in sala operatoria non sempre con la guida di un mentore aggiornato.
Non ci sono più i maestri di un tempo, quelli, per chiarire, che stavano sempre in sala operatoria, assistevano gli studenti, insegnavano metodi e movimenti. Oggi, direttori e primari sono troppo coinvolti dalla burocrazia e dalle faccende amministrative.
La figura 
del chirurgo si è progressivamente sbiadita, si è trasformata e, forse, è meno attraente. A ciò si aggiunga la problematica del contenzioso sanitario, espressione diretta della conflittualità medico-paziente. È quindi evidente, tornando agli accessi alle scuole di specialità, che si tratta di problematiche che non preoccupano chi decide di iscriversi a dermatologia, ma possono giustificare le incertezze di chi vorrebbe fare il chirurgo.

Sì, ma rimane comunque molto importante per la salute delle persone. Che si dovrebbe fare per rilanciare la professione?

Io credo che la chirurgia generale andrebbe riformata profondamente. Occorre adeguarsi nei fatti agli standard europei, ai modelli francese, tedesco e anche inglese. La formazione deve prevedere un numero standard di interventi ogni anno di complessità crescente. Così lo specializzando apprende gradualmente il mestiere affrontando casi sempre più difficili. Tutto questo oggi non sempre avviene. È un tema di grande rilievo per il sistema sanitario nazionale e deve essere affrontato soprattutto a livello politico perché interessa tutto il paese. Aggiungo, la formazione delle specialità non dovrebbe più essere ad appannaggio esclusivo del mondo accademico. E lo dico da professore universitario. È necessaria una revisione delle scuole di specializzazione che può essere moderna e utile solo se elaborata congiuntamente dal Ministero dell’Università e da quello della Salute, con un approccio pratico per ottimizzare le risorse e opportunità di crescita.

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

Sono una redattrice anziana, protagonista della grande crescita di questa testata. La nostra forza sono i lettori a cui chiediamo un patto di alleanza per continuare a crescere insieme.

Pubblicato il 07 Ottobre 2022
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