“Mio figlio ha diritto a una risposta”: da 7 anni senza una diagnosi del suo disturbo psichiatrico
Una madre racconta la sua lunga battaglia contro il pregiudizio e l'inefficienza del sistema per vedere riconosciuta la condizione del suo ragazzo

Diventare grandi e non sapere cosa succede nella tua testa. Chiedere aiuto e non riceverne. Avere bisogno di certezze e brancolare nel buio. Il cervello è un organo prezioso: tanto importante quanto delicato. Prendersene cura è importante ma le risorse che si trovano sono a volte insufficienti, inadeguate, discriminanti.
Così racconta Cinzia, una donna, una madre, che da anni bussa alle porte in cerca di aiuto per suo figlio, bambino prima, ragazzo poi e ora giovane uomo in cerca di risposte.
« Ho trascorso tutti gli anni scolastici a chiedere aiuto – racconta Cinzia – mi hanno detto, anni dopo, che allora non c’erano le conoscenze e la preparazione che ci sono oggi. Mio figlio è diventato grande chiedendo di sapere chi fosse. Ma ancora oggi brancoliamo nel buio».
Durante un ricovero in pediatria all’ospedale Del Ponte a dieci anni, dovuto a un grave problema di rifiuto del cibo, per la prima volta si intuisce una problematica di tipo psichiatrico: « Inizio la mia odissea attraverso i servizi della neuropsichiatria infantile. La lista d’attesa nel pubblico è interminabile, così trovo una risposta in un’associazione che mi suggerisce uno specialista. Per la prima volta, mio figlio si sente dire “Ma sei sicuro di volere una diagnosi che poi ti classifica? A cosa ti serve?”. Il pregiudizio viene usato per convincerlo a non cercare risposte. Tre anni è rimasto in cura ma non sono serviti a nulla».
Nonostante la precarietà, il percorso scolastico procede grazie a docenti che lo aiutano a minimizzare le sue psicosi ma, a 17 anni, avviene una crisi che determina il suo crollo: « Ricominciamo con le visite, gli esami, gli approfondimenti. Viene valutato anche da uno specialista di disturbi alimentari. Ma il problema di mio figlio non è il rapporto con il cibo o con l’idea del suo corpo. Escludiamo quella parte. Ma non si fanno altri passi avanti. Proviamo con altri tre psichiatri, sempre privatamente perchè nel pubblico non troviamo risposte con attese lunghissime. Il ragazzo si sente ancora ripetere “a cosa ti serve la diagnosi?”. È un calvario sempre uguale e mio figlio comincia ad avere scatti d’ira, reazioni imprevedibili. Oggi, dopo 7 anni difficili, stiamo affrontando l’ennesimo percorso di visite per avere una diagnosi. Ci siamo rivolti al San Raffaele, dove, ci dicono, sono specializzati in disturbi della psiche. Chiaramente è tutto a pagamento: speriamo che, una volta definita la situazione, venga ammesso in un percorso terapeutico riconosciuto dal servizio sanitario nazionale».
Il ragazzo vive in una dimensione sua, non esce di casa, ma studia molto, ha molti interessi che coltiva, però, nella solitudine della sua camera: « È intelligente, curioso, sensibile. Potrebbe sembrare un giovane come gli altri se non fosse per il suo aspetto trasandato – spiega la madre ormai sfinita da una ricerca di risposte senza fine – Io credo che, finché sono piccoli, il servizio di neuropsichiatria infantile funzioni, anche se con tempi dilatati. È quando i nostri ragazzi crescono che iniziano i problemi. Non c’è rete di assistenza. Mancano servizi, centri di cura. Soprattutto, non esistono strutture per assistenza di media gravità per ragazzi: sono stati proposti alcuni centri a mio figlio che è scappato, spaventato da ciò che aveva visto. Si brancola nel buio, per tentativi, tra insuccessi e frustrazioni. Intanto lo vedi crescere con un male infinito dentro di sé. Mio figlio, io, tutta la nostra famiglia, abbiamo diritto ad avere una diagnosi, abbiamo diritto di conoscere cosa affligge il mio ragazzo e da lì ripartire con un percorso che è, almeno, un punto fermo nella sua storia. Una speranza che qualcosa di nuovo c’è».
Cinzia chiede aiuto, pretende che i disturbi legati alla sfera psichiatrica non rimangano invisibili : « Il pregiudizio c’è ancora e molto forte. La nostra società preferisce nascondere. Ma noi esistiamo, mio figlio esiste e ha diritto di avere una risposta».
Cinzia ha lanciato una petizione:
«Da madre, ho creato una petizione semplice più per sensibilizzare che altro. Il tunnel in cui le famiglie che vivono questo dramma è immenso, senza fine. Il nostro Governo deve inserire questo grave immenso tema tra le priorità.
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