“Remènch”, una sera un pastore mi disse
Nel suo nuovo libro il fotografo Carlo Meazza ci porta nell'antico mondo dei pastori e della transumanza
Chissà quante volte li avete incontrati, mentre attraversavano lento pede con i loro animali i prati e le strade intorno al lago di Varese. E chissà quante volte siete stati colti dallo stupore – e qualcuno anche dalla rabbia per i ritardi – nel vedere pastori, pecore, cani e asinelli sfilare tra le automobili per ripetere un rito ostinato e antico come la transumanza.
Immanenti nella storia dell’umanità, i pastori, di generazione in generazione, resistono da millenni ricordandoci che accanto alla frenesia della modernità esiste un tempo che scorre lento, in sintonia con la natura e gli animali. Di questo mondo, considerato residuale, si conosce ben poco. Pochi sanno, per esempio, che i pastori hanno una loro lingua, il Gaì, che accoglie nel suo dizionario parole provenienti dalle valli attraversate in lungo e in largo alla ricerca di buoni pascoli. Una lingua «oscura e segreta», come la definisce la studiosa Anna Carissoni. Un elemento identitario e al tempo stesso di difesa – perché gli altri non la comprendono – , determinante per una comunità errante vissuta spesso con sospetto e diffidenza.
A svelarci questa realtà è lo splendido libro “Remènch – Transumanza in Lombardia” (Pubblinova edizioni Negri) del fotografo varesino Carlo Meazza che si è avvicinato ai pastori alla fine degli anni Settanta riuscendo a costruire un legame così profondo da essere considerato uno di loro. A distanza di 40 anni dal primo incontro, avvenuto nei campi gelati di Casale Litta, Meazza ritrova gli stessi protagonisti di allora, invecchiati ma tenaci nel perpetuare la loro tradizione.
“Remènch”, che nel linguaggio dei pastori significa: “andare in pianura per i pascoli invernali”, è stato presentato all’OrtobioBroggini a Calcinate del Pesce, il luogo ideale per un libro che mette al centro l’uomo e il suo rapporto con la natura. «È una vita dura quella di pastori e pecore – ha detto Massimo Crugnola (foto sopra), agricoltore biologico – perché devono attraversare una pianura piena di ostacoli e dove il maggese nudo (lasciare il terreno incolto e a pascolo, ndr) quasi non esiste».
C’è anche un significato politico nella vita condotta dai pastori. «Spostandosi attraverso proprietà private e recinti – ha aggiunto l’assessore alla Cultura del Comune di Varese Enzo Rosario Laforgia – è come se affermassero che c’è un territorio patrimonio di tutti. Noi spesso usiamo la definizione bene comune, ma poi scopriamo che quei recinti non possono essere superati».
Meazza ha condiviso molto tempo con i pastori e non solo per la realizzazione delle foto pubblicate nel libro. Del resto chi conosce i suoi scatti sa anche che umanità ed empatia sono gli unici filtri che applica alla sua macchina fotografica. «Mi sono immedesimato fin da subito con quel mondo, entrando in sintonia con loro – ha concluso Meazza – Una sera un pastore mi ha detto: “Ma dopo, quando il libro sarà stampato, tu continuerai a venire a trovarci? Ricordati che noi siamo amici”».
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