Tra il web e il “giornale alla vecchia maniera”: il direttore Alessio Tarpini racconta La voce di Mantova

Alessio Tarpini

In occasione dell’edizione 2022 di Festival Glocal, VareseNews ha deciso di fare una ricognizione sulla stampa locale lombarda, intervistando i direttori di diverse testate impegnate nel racconto delle comunità e dei territori.

La voce di Mantova è un’affiata squadra formata da una decina di giornalisti al lavoro dal 1999 per raccontare ogni giorno alla «vecchia maniera», tra cartaceo e digitale, le storie nascoste tra le righe della vita di provincia e della città che ha dato i natali a uno dei più grandi poeti classici, Virgilio. Proprio qualche giorno fa la redazione ha festeggiato il suo 23esimo compleanno, praticamente un quarto di secolo reso possibile grazie alla Cooperativa Vidiemme che gestisce il giornale e che vede in ogni socio un lavoratore, a cui si affianca anche il prezioso contributo dei collaboratori. Per dirigere al meglio una squadra chi meglio allora dell’ex responsabile dell’area sportiva? Dal 2014 Alessio Tarpini è infatti il direttore del giornale: il legame di Tarpini – “ex canterano” – tra bordocampo e la testata risale al 1993, anno in cui, dopo una prima esperienza pre-bellica, La Voce di Mantova venne rifondato per poi trovare l’attuale organizzazione sei anni più tardi.

Come sta andando il suo giornale?

Stiamo vivendo un tempo in cui la nostra realtà sta cercando nuovi spazi e frontiere di mercato. È chiaro che in questo momento il digitale è diventato una risorsa che noi abbiamo scelto di abbinare al cartaceo. Il costo della carta è importante e mai come adesso il giornale è da considerare come una vera e propria azienda, soprattutto per realtà piccole come nostre. Il discorso è molto ampio: per un passaggio al digitale servono risorse forti che per quotidiani piccoli come il nostro sono difficili da trovare. Ma noi cerchiamo di barcamenarci con sacrifici per uscire ogni giorno con un giornale e al tempo stesso avere il sito sempre aggiornato. Al momento non mi pare che esista davvero qualcuno che abbia trovato la strada giusta: la gente fa fatica a leggere e nessuno ha trovato un modo per far tornare alla gente la voglia di leggere. Il settore sta brancolando nel buio.

Perché il giornalismo locale è una risorsa?

Il giornalismo locale significa fare giornalismo alla vecchia maniera. Noi cerchiamo di privilegiare le notizie del paese, quelle di cui parla la gente, che, a sua volta, leggendole parla. Mantova non è una metropoli, in redazione la definiamo un “grande paese”, significa che è pieno di piccole realtà e tanti paesini. Al di là della cronaca nera e dello sport, è bello che il giornale locale vada a raccontare le storie che arrivano dai paesi. È grazie al lavoro del giornalismo locale che queste storie vengono poi portate a livello nazionale, spesso capita di essere chiamati in redazione da media che vogliono riprendere le notizie scritte sulle colonne del giornale. Questa è la dimostrazione che c’è ancora spazio per il giornalismo vero, quello che è fatto dalla gente. Si tratta di scovare le notizie, di andare a leggere tra le righe della vita. Io sono una persona affascinata dalle storie, ne ho vissute tante e ne abbiamo raccontate tante, anche durante il lockdown. Il giornale locale deve essere questo: locale.

Quale limite sta vivendo il giornalismo locale? 

È il discorso fatto poca fa: un giornale è un’azienda e non può muoversi senza guardare al bilancio. In questo momento sto per andare in redazione e mi piacerebbe davvero poter fare un giornale di cinquantadue pagine ma oggi questo è un controsenso. Tutto viene di conseguenza: noi cerchiamo di fare un buon giornale nonostante non si possa fare quello che si vorrebbe. I limiti oggi sono oggettivi e forse oggi un giornale è “l’ultima ruota del carro dell’informazione”. È assurdo pensare che il giornale sia passato da essere la fonte primaria da cui attingere le notizie e oggi rappresenti la notizia del giorno dopo, seppur approfondita.

Qual è, nel suo giornale, la relazione tra il locale e il globale?

Il digitale permette oggi una penetrazione più efficace a livello globale, mentre il nostro quotidiano rimane confinato nella provincia. Questo è un “regalo” della tecnologia, perché le due cose fanno un po’ a pugni. Io sono dell’idea che chi legge il web non compra il cartaceo e la sensazione, quindi, è quella di essersi fatto un concorrente in casa. Però ben venga: il web è uno strumento in più per farsi conoscere e aprirsi a nuovi spazi.

Come vivete il rapporto con la vostra comunità di riferimento?

Mantova è un paesone ancora a misura d’uomo. Ci si conosce tutti e ci sono ancora tutte quelle piccole cose che ancora non si sono perse: come chi chiama in redazione per segnalare una notizia. È un vivere faccia a faccia e affrontare i problemi insieme. Cosa ne penso della parola “territorio”? È una parola inflazionata con cui si riempiono la bocca i politici, credo che alla fine le persone toccano con mano ciò che vedono. Il nostro è un territorio in prevalenza agricolo, secondo me bisogna parlare soprattutto a loro e portare fatti. Mantova è ancora una città che ambisce e spera ai fatti, più che alle parole. La nostra è una realtà che ha sempre lavorato tanto e credo che debba anche ricevere tanto.

La Voce di Mantova (ri)nasce nel 1999 come cooperativa dalle ceneri dell’ominima testata chiusa nel 1993. Un mese dopo la chiusura, un gruppo di redattori de La voce, insieme a qualche forza nuova, danno vita al giornale che dal 2015 si estende anche alla versione web.

Marco Tresca
marco.cippio.tresca@gmail.com

 

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Pubblicato il 31 Ottobre 2022
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