“La tonaca e il fucile”, la Resistenza dei preti in provincia di Varese
Una storia di ribelli per amore e senza odio. Il nuovo libro di Franco Giannantoni: “Ho sentito il dovere di sanare un debito che avevo con la storia resistenziale”
«Alla fine della Seconda guerra mondiale, molti di quei fascisti che avevano distrutto il Paese sono diventati classe dirigente della repubblica». Franco Giannantoni, giornalista e storico varesino, per cinquant’anni ha raccontato, con «grande fatica e rigore», la Resistenza e con essa la metamorfosi di molte camicie nere, aspetto, quello della continuità con il regime nazifascista, trattato in particolare nei libri “Varese in camicia nera” e “Varese dal manganello alle bombe”.
«È un rigore che non paga e che ti isola» dice con un filo di amarezza lo storico.
Nonostante questo, Giannantoni continua a scrivere di Resistenza e antifascismo.
Per le Edizioni Amici della Resistenza ha da poco pubblicato il Quaderno n. 10 dal titolo “La tonaca e il fucile. Ribelli per amore e senza odio”. Due volumi dedicati alla lotta contro il nazifascismo del “basso clero”, in cui vengono raccolte le voci e le storie dei sacerdoti partigiani. Una ricostruzione basata sulle informazioni riportate nei liber chronicus delle parrocchie e nell’archivio diocesano di Milano, dove sono custodite le lettere con le richieste che i parroci della provincia di Varese indirizzavano al cardinale Ildefonso Schuster.
«Con questo libro – racconta Giannantoni – ho sentito il dovere di sanare un debito che avevo con la storia resistenziale. Accanto ai partigiani dei vari schieramenti ci furono anche i preti o, meglio, il basso clero». Erano preti di confine, di montagna e di periferia. «Una minoranza generosa ed eroica», capace di combattere sul piano militare, di cui avevano già parlato nei loro libri anche Giorgio Bocca e Roberto Battaglia. Religiosi che avevano scelto di schierarsi dalla parte giusta, come testimonia la storia di don Ubaldo Valentini, bustocco di 37 anni, insegnante di storia e lettere classiche al seminario di Venegono Inferiore che dopo la guerra diventò il segretario bibliografico di cardinal Martini. Insieme ad altri docenti, Valentini aveva collaborato attivamente con i partigiani del Tradatese, della Val d’Ossola e di Busto Arsizio. Aveva dato ospitalità a ebrei in fuga dalle persecuzioni, a preti antifascisti e a militari stranieri. Si era prodigato nella diffusione della stampa clandestina e nascosto armi nei sotterranei inaccessibili del seminario. «I preti erano armati – racconta Giannantoni – Lo stesso don Ubaldo dichiarerà di aver sempre avuto un mitra nell’armadio della sua camera a Venegono Inferiore e di saperlo anche usare in caso di estrema necessità, ma non ce ne fu mai bisogno».
I sacerdoti erano attivi soprattutto nelle zone di confine dove aiutavano gli ebrei a espatriare per sfuggire alla deportazione nei campi di sterminio. Don Piero Folli, parroco di Voldomino, fu un altro prete guerriero. Mandato in “esilio” dalla curia milanese in un paesino sperduto della provincia di Varese, divenne l’anello di congiunzione con la comunità ebraica di Genova che faceva riferimento al cardinale Piero Boetto. Moltissimi ebrei genovesi, dopo varie tappe di avvicinamento, arrivavano da don Folli che provvedeva a farli espatriare in Svizzera. In uno di questi passaggi fu scoperto dai nazifascisti e per questo arrestato, brutalizzato e trasferito nel carcere di San Vittore. Quando non morivano a causa delle percosse e delle torture, il carcere era la destinazione dei preti che collaboravano con la Resistenza. Sarà il cardinal Schuster a ottenere dal generale Graziani il trasferimento di tutti i preti detenuti a San Vittore in un confino giudiziario a Cesano Boscone.
Molti preti partigiani provenivano da Busto Arsizio, compreso monsignor Giovanni Galimberti. «La ragione – spiega Giannantoni – è da ricercare nel rapporto operativo che gli industriali bustocchi avevano con la Val d’Ossola e a una coscienza cattolica ben radicata in quella comunità».
Un altro esempio interessante è quello di don Giuseppe Albeni, giovanissimo prete, che con un gruppo di ragazzi dell’oratorio di Cuggiono sale al Pian Cavallone per dare vita al primo nucleo della formazione “Giovine Italia” che ebbe un ruolo importante nella lotta partigiana nell’Ossola. «Albeni venne arrestato e interrogato dai fascisti della Gnr di Varese – racconta lo storico – Ma una volta scarcerato, incurante del rischio, continuò ad affiancare i partigiani fino alla fine della guerra. Dopo la Liberazione, diventerà parroco di Albizzate».
Ai fascisti non importava se i partigiani indossavano l’abito talare. Se dovevano ricorrere alla tortura per farli parlare, lo facevano senza porsi troppi problemi. Don Attilio Sangiorgio, parroco di Lavena Ponte Tresa, venne catturato e portato alla scuola Felicita Morandi dove subì numerose torture, ad opera dagli uomini della brigata nera toscana, culminate con una serie infinita di scariche elettriche, descritte da lui stesso in un drammatico memoriale.
Nel libro c’è spazio anche per don Natale Motta di Varese. «Un audace» lo definisce Giannantoni, per i suoi mille passaggi in Svizzera in soccorso degli ebrei. Altra bella figura è quella di madre Lina Malli, la suora che dirigeva Casa san Giuseppe lavoratore di Varese, dove spesso arrivavano, sotto la minaccia delle armi dei soldati tedeschi, famiglie ebree che non potevano essere detenute nel carcere cittadino, perché già stracolmo di persone in attesa di essere deportate nei campi di sterminio.
Gabriele Balcone, un bimbo ebreo di 4 anni, era uno di loro. Con mamma e papà viene scortato dalle SS fino in via Griffi per trascorrere nella casa i giorni che lo separano dalla deportazione. Ad attenderlo ci sono alcuni giovani preti, tra cui don Motta e monsignor Carlo Sonzini, che senza perdere tempo si inventano un’appendicite acuta da operare con urgenza. E così in piena notte il bimbo viene trasferito all’ospedale di Circolo dove il professor Ambrogio Tenconi finge a sua volta di fare l’operazione. Si tratta di prendere tempo, almeno fino all’arrivo in ospedale di un gruppo di partigiani che preleva il bambino e lo porta in salvo in Brianza.
Anni dopo lo storico si mette sulle tracce di Gabriele e della sua famiglia. Trova un primo contatto che lo porta all’altro capo del mondo. La famiglia Balcone, dopo la guerra, si è stabilita a Sidney, in Australia, dove Gabriele fa il fotografo. Giannantoni chiede alla madre, Edvige “Hedy” Epstein, ebrea austriaca, di raccontare i particolari di quella vicenda lontana. La donna, però, prima di parlare, vuole essere rassicurata e chiede allo storico se è un funzionario della polizia. Come se il tempo fosse rimasto fermo a quel tragico dicembre 1943.
_______________________________
“La tonaca e il fucile” di Franco Giannantoni sarà presentato sabato 12 novembre alle 17,30, alla Libreria Ubik di Varese.
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
Viacolvento su Tensione e insulti in centro a Busto tra polizia e giovanissimi. Due denunciati per danneggiamenti
Felice su Tensione e insulti in centro a Busto tra polizia e giovanissimi. Due denunciati per danneggiamenti
italo su Doveva stare a Roma e invece girava in auto a Luino: arrestato
Viacolvento su Voto palese per la mozione di sfiducia all'assessore, il sindaco di Busto Arsizio chiede una modifica al regolamento
PaoloFilterfree su Il mio medico di base è andato in pensione e devo cercarmi da solo un nuovo curante
lenny54 su Il mio medico di base è andato in pensione e devo cercarmi da solo un nuovo curante
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.