Lampi di storia a Masnago. Isaac e Ferraiuolo: “La Openjobmetis ricorda un po’ la nostra DiVarese”
Alta velocità, contropiede, adrenalina: la Varese di oggi ricorda, per certi versi, quella di fine anni Ottanta. Ecco cosa ne pensano l'allenatore e il playmaker di allora
Più di uno, in queste settimane, ha nominato il suo nome e – come vedremo – non lo ha fatto invano. La Openjobmetis vivace e spettacolare di Matt Brase ha ricordato a diverse persone la DiVarese, ovvero la squadra guidata da Joe Isaac che alla fine degli anni Ottanta fece innamorare del basket una generazione di varesini, quelli – ci iscriviamo al partito – che per ragioni anagrafiche non sono riusciti a vivere per qualche anno l’epopea della grande Ignis-Mobilgirgi.
Un accostamento che è un po’ azzardato per le tempistiche – i biancorossi di Brase “ballano” da cinque partite, la “DiVa” durò anni ai massimi livelli – ma che ci piace ugualmente fare, tanto più che a confermare diverse affinità sono proprio il coach di allora, Joe Isaac, e uno degli interpreti in campo ovvero Max Ferraiuolo, una delle anime varesine di quel team. (foto: Archivio Pallacanestro Varese)
ISAAC: UN PARAGONE CHE CI STA – Joe Isaac, 79 anni, è ancora un frequentatore piuttosto assiduo di Masnago: ogni tanto segue gli allenamenti ed era in tribuna nelle partite che la OJM ha disputato in casa contro Sassari e contro Treviso. Ha quindi avuto modo di osservare da vicino i “nipotini” della sua DiVarese. «Ci sta paragonare questa squadra a quella di allora: anche la Openjobmetis è costruita per correre in campo aperto, cercare spesso il contropiede, andare al tiro dopo azioni che durano pochi secondi. In questo senso vedo similitudini e mi piace il gioco moderno adottato da Brase: corsa, penetrazioni in uno contro uno ed eventuale scarico sul perimetro per un tiro da tre punti».
Il coach newyorchese sottolinea alcune differenze a livello tattico e difensivo. «In difesa la mia DiVarese era più completa, sia nella protezione del ferro sia grazie a giocatori come Sacchetti e Vescovi molto forti sugli esterni. Poi, a differenza di oggi, io usavo diversi accorgimenti come il pressing a tutto campo per qualche azione, un po’ di zona 2-3 e soprattutto la 3-2 con Cecco Vescovi in punta. È anche vero che giocando così tanti possessi, è normale che la Openjobmetis subisca parecchi punti perché anche gli avversari hanno a disposizione più tiri. Un’ultima considerazione è che oggi il campo è più aperto di un tempo grazie al grande utilizzo del tiro da 3: la DiVarese era già squadra che aveva ottimi tiratori ma cercava anche tanto di andare in area. Oggi le triple sono per tutti un’arma consueta, ben più di allora».
FERRAIUOLO: RIVIVO L’ADRENALINA DI MASNAGO – Team manager di lunghissimo corso Massimo Ferraiuolo, 57 anni, è una delle persone a più stretto contatto con la Openjobmetis di quest’anno (e di quelle del recente passato) ma è anche un testimone sul campo della DiVarese di un tempo. «Anche io credo che questa squadra abbia alcuni tratti di quella di fine anni Ottanta; c’è la stessa volontà di sfruttare ogni occasione, di velocizzare il gioco e di correre il campo. Addirittura noi, ai tempi, sfruttavamo anche le rimessa in difesa perché a differenza di oggi l’arbitro non doveva toccare la palla: in certi casi lanciavamo il contropiede sorprendendo gli avversari».
La presenza di un allenatore americano – ieri Isaac, oggi Brase – è un’altra affinità: «Joe – che era più istrionico rispetto a Brase – era un coach che aveva un rapporto di grande sintonia con i giocatori, pensava prima di tutto a farci stare bene in un periodo in cui i tecnici, spesso, “bastonavano” gli atleti con allenamenti sfiancanti. Il piacere di giocare, di divertirsi e divertire il pubblico è un tratto simile e certe scariche di adrenalina che corrono tra il campo e i tifosi sono simili a quelle di allora».
Tra le differenze, Ferraiuolo sottolinea come «quella DiVarese era squadra più strutturata anche perché giocava per i primissimi posti e aveva giocatori che oggi non ci sono. Uno su tutti Corny Thompson che in post basso faceva sfracelli. Pittman invece, per certi versi, era già un pivot moderno: atletico e capace di segnare frontalmente. In generale però il gioco a difesa schierata era molto diverso da quello di oggi, in cui tutto parte da una situazione di pick’n’roll e da lì si sviluppa».
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