Il mito di Enea e le tute blu. La cultura d’impresa definisce l’identità italiana

Alla Liuc è stato presentato il nuovo libro di Antonio Calabrò "L'avvenire della Memoria" (Egea). "Una società che si va sempre più sbriciolando ha bisogno di maestri, non solo per imparare, ma anche da contestare"

Liuc generico

Quando si parla di cultura d’impresa, si ha sempre la sensazione che di quella definizione sfugga l’essenza. È forse la parola “cultura” a rendere tutto così sfumato e poco tangibile. Il nuovo libro di Antonio CalabròL’avvenire della memoria” (Egea) presentato alla biblioteca dell’università Liuc, prova a mettere ordine rispetto a ciò che è stato, la memoria, e ciò che sarà, l’avvenire.
(nella foto Antonio Calabrò direttore della fondazione Pirelli)

Fuori da ogni retorica, a partire dall’immagine della storia maestra di vita, l’autore sottolinea che quando si parla di cultura d’impresa esiste «una relazione forte tra la consapevolezza storica e lo sguardo visionario verso un futuro migliore».
Il libro di Calabrò è tutt’altro che un’operazione amarcord, bensì il tentativo di far comprendere quanto è complessa l’identità di questo Paese in un tempo dove la convergenza tra bellezza, sapere umanistico, conoscenze scientifiche e applicazioni tecnologiche è necessaria per garantire uno sviluppo sostenibile, ambientale e sociale.

La cultura d’impresa italiana ha radici così profonde, che Calabrò, per rappresentarne la complessità, scomoda il mito di Enea: «La nostra civiltà nasce da un migrante con appresso un padre anziano, un figlio giovinetto e un amore impossibile con la regina Didone». È una narrazione che deve essere in grado di tenere insieme umanesimo e tecnica, la mitologia sedimentata nei secoli e le battaglie delle tute blu.

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da sinistra: il professore Daniele Pozzi, moderatore dell’incontro, Federico Visconti, Antonio Calabrò e Giuseppe Nigro

Alla domanda se la cultura d’impresa abbia bisogno di maestri, Federico Visconti e l’autore rispondono entrambi positivamente. «Non basta un tutorial di youtube. Mio padre faceva l’elettricista e mi portava con sé insegnandomi i fondamentali del mestiere» dice il rettore della Liuc. «Una società che si va sempre più sbriciolando ha bisogno di maestri, non solo per imparare, ma anche da contestare» aggiunge il direttore della Fondazione Pirelli.
E quando si contesta un sistema bisogna essere in grado di fornire le motivazioni che sostengono il nuovo che verrà. 
La lezione di Calabrò arriva direttamente dal ’68, che ha vissuto insieme a un’intera generazione portatrice di nuovi valori. «La prima Università occupata in Italia – racconta l’autore – fu quella di Torino il cui rettore era Norberto Bobbio. Alla testa dei contestatori c’era il figlio Angelo Bobbio».

I maestri sono dunque il punto di riferimento del pensiero antagonista e, quando sono buoni, forniscono alle nuove generazioni gli strumenti per favorire il passaggio e il rinnovamento della società, evitando l’affermazione di un’avvilente «mediocrazia».

L’impresa ha un forte ruolo nell’identità nazionale, nonostante la storia dell’industria italiana non sia una storia di santi e l’economia digitale non sia il paradiso.
Le ombre del sistema, che Visconti raccoglie sotto la categoria «gattopardismo», sono tante. Vizi che sono un ostacolo reale per lo sviluppo e il progresso del Paese, pertanto, da rimuovere, pena l’imbarbarimento della nostra società. Lo storico Giuseppe Nigro ricorda, a ragione, che «non c’è incivilimento senza modernizzazione della realtà».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 16 Novembre 2022
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