L’influenza colpisce soprattutto i bambini: pediatri travolti dalle richieste
Mancano gli specialisti: ogni medico ha in media 1000. Nei momenti di emergenza il sistema fatica a reggere. Il racconto della dottoressa Cristina Daverio

Sono i bambini i più colpiti dall’epidemia influenzale che si registra in Italia. La Lombardia ha ormai raggiunto la zona di contagio maggiore e, nella fascia 0-4 anni, i casi segnalati dall’Istituto superiore di sanità sono quasi 50 ogni mille bimbi. Va leggermente meglio tra i piccoli tra 5 e i 14 anni con il 28 per mille.
Oltre al virus influenza, circolano anche altri patogeni come il covid e anche il virus sinciziale che provoca problemi respiratori anche gravi nelle fasce pediatriche più piccole.
Non sono solo i pronto soccorso ad essere in grande difficoltà. Tutta la rete dell’assistenza è in grave sofferenza: « Vi spiego alcuni dati per fotografare la situazione – spiega la dottoressa Cristina Daverio, pediatra di libera scelta, portavoce dei colleghi sul territorio – La media di pazienti che ciascuno di noi ha è di 1000 assistiti. Se consideriamo il tasso di contagio, abbiamo circa un centinaio di bambini ammalati che ha bisogno di noi».
«Il 75% delle problematiche riusciamo a risolverle al telefono con conversazioni di durata media attorno ai 3 minuti – spiega la dottoressa -. Se facciamo il calcolo, sono 5 ore. Poi abbiamo l’ambulatorio con le visite, dove arrivano gli altri bimbi e calcoliamo altre 6 ore. Poi aggiungiamo i whatsapp ,vocali o scritti, una modalità che avevamo incentivato con il Covid e che ora prosegue. Anche in questo caso occorre tempo per smistare e rispondere. Poi ci sono le email, e le vaccinazioni e i tamponi covid. La routine con i neonati e gli svezzamenti. E poi la parte burocratica, compresi i certificati medici per i genitori che devono assentarsi dal lavoro per assistere i figli ammalati. Pochi numeri che descrivono la mole di lavoro che dobbiamo sostenere quotidianamente. È chiaro che, quando visitiamo, non rispondiamo al telefono, ma questo non vuol dire che siamo assenti. Se un bambino deve essere visitato lo convochiamo il giorno stesso in ambulatorio, al massimo il giorno dopo. In questo momento, la mia segreteria telefonica invita i genitori a venire direttamente in ambulatorio: non posso perdere tempo a fissare appuntamenti».
La dottoressa Daverio non nasconde la sua stanchezza: «Per anni, la sanità ha subito tagli. La programmazione non ha tenuto conto del turn over e oggi ci ritroviamo in situazione drammatica. Tutti i bambini hanno un pediatra di riferimento ma solo perchè, chi rimane, si carica degli assistiti di chi lascia o va in pensione. L’anno prossimo toccherà anche a me e già sono preoccupata per i miei 1400 bambini».
Quello del pediatra è un lavoro affascinante ma la complessità lo rende meno attrattivo di altre specialità: «Noi siamo medici specializzati, con alle spalle 11 anni di studio. E garantiamo un servizio importante: siamo un punto di riferimento delle famiglie, stabiliamo con i genitori un rapporto di fiducia. L’idea di accentrare i pediatri del territorio in una unica sede, come la casa della comunità, creerà molti problemi sia ai genitori, che non avranno più il punto di riferimento nel quartiere, sia ai medici perchè verrà meno il rapporto diretto tra medico e assistiti. Purtroppo, noi medici non veniamo interpellati quando si prendono le decisioni. Avviene tutto sopra la nostra testa: veniamo coinvolti solo nella contrattazione dove si lotta per ogni singolo centesimo delle risorse assegnate».
In questo momento di grave emergenza, i pediatri sul territorio sono subissati da richieste : «Siamo abituati a lavorare in condizioni critiche ma non possiamo reggere a lungo. Questo impegno ci assorbe completamente e dobbiamo rinunciare a tutto il resto. Non possiamo permetterci nemmeno di stare male altrimenti scaricheremmo il nostro lavoro sui colleghi che sono già al limite. Il forte calo demografico un pochino riesce a contenere i gravi danni della mancata programmazione fatti anni fa. Ma la pressione è tanta, le incombenze sempre di più. Ogni giorno iniziamo a lavorare con la speranza che non si creino situazioni di emergenza improvvise».
Pediatri e medici di base si sentono lasciati soli nel loro compito di supportare il territorio. Le prospettive future non sono incoraggianti e anche le soluzioni individuate, come le case di comunità, non appaiono risolutive: « La medicina di gruppo con la segretaria e l’amministrativo che sbriga una parte di burocrazia avrà i suoi vantaggi – commenta la dottoressa Daverio – ma i miei genitori vogliono sentire la mia voce, avere un dialogo con me perché si fidano. Se togliamo questo rapporto fiduciario perdiamo un valore».
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